1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 103(104)
R. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra. Oppure: R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Benedici il Signore, anima mia! Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature. R.
Togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. R.
Sia per sempre la gloria del Signore; gioisca il Signore delle sue opere. A lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore. R.
Seconda Lettura
1Cor 12,3b-7.12-13
3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: "Gesù è anàtema!"; e nessuno può dire: "Gesù è Signore!", se non sotto l'azione dello Spirito Santo. 4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
Vangelo
Gv 20,19-23
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati".
Note
At 2,1
"stava compiendosi"
Il verbo sumplēroō (συμπληρόω) compare nel Nuovo Testamento solo sotto la penna di Luca e significa “riempire interamente, compiere”. La stessa formula è usata in Lc 9,51, al momento cruciale della salita di Gesù a Gerusalemme: questo particolare indica che l’intento del narratore, con questo termine, è porre un segno di cesura, la fine di un’attesa e l’inizio di un nuovo periodo.
At 2,1
"nello stesso luogo"
La costruzione epì tò autò (ἐπὶ τὸ αὐτό), che letteralmente significa “sulla stessa cosa”, ha un sapore biblico: nella Settanta traduce infatti l’ebraico yahad (insieme), utilizzato nei Salmi come avverbio della vita comunitaria. Il gruppo di credenti è riunito intorno ai dodici apostoli che, fra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa, sono i garanti della continuità.
At 2,6
"rimase turbata"
Il verbo sugcheō (συγχέω), “gettare nella confusione”, è lo stesso verbo usato, nella traduzione di Gen 11,9 da parte della Settanta, per indicare la confusione delle lingue provocata da Dio nell’episodio della torre di Babele. Nel Nuovo Testamento, solo Luca lo usa.
At 2,8
"come mai"
Il “come”, pōs (πῶς), non riguarda la modalità, ma l’origine di questa sorprendente capacità di comprendersi, che trascende i limiti e raggiunge ognuno nella sua cultura nativa.
Gv 20,19
"Pace a voi"
L’espressione eirēnē hymīn (εἰρήνη ὑμῖν) corrisponde al saluto ebraico shālōm alēkem. Tuttavia, qui non si tratta di un semplice saluto nè di un augurio ma di un dono, frutto della vittoria della vita sulla morte. Quando nell’AT il saluto della pace è rivolto da un essere celeste, esso si rivela efficace e salutare (cf. Gdc 6,23; Dn 10,19). Anche il dono della pace portato da Gesù susciterà nei discepoli il coraggio di uscire e intraprendere la missione.
Gv 20,23
"non perdonerete"
Letteralmente, il verbo kratèō (κρατέω), qui tradotto con “perdonare”, significa “trattenere”, nelle molteplici sfumature dell’esercizio di un potere: “raggiungere un obiettivo”, “afferrare, prendere il controllo di qualcuno o qualcosa”, “impedire”, ma anche “aderire, attenersi”. All’interno di questa gamma di significati si può cogliere l’azione di “far sì che una condizione persista, sia tenuta in piedi”: che il peccato dei fratelli resti tale dipende da una parola dei discepoli, da una nostra parola.
Gv 20,23
"non saranno perdonati"
Letteralmente, il verbo kratèō (κρατέω), qui tradotto con “perdonare”, significa “trattenere”, nelle molteplici sfumature dell’esercizio di un potere: “raggiungere un obiettivo”, “afferrare, prendere il controllo di qualcuno o qualcosa”, “impedire”, ma anche “aderire, attenersi”. All’interno di questa gamma di significati si può cogliere l’azione di “far sì che una condizione persista, sia tenuta in piedi”: che il peccato dei fratelli resti tale dipende da una parola dei discepoli, da una nostra parola.
Approfondimenti
At 2,3
"lingue"
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
At 2,4
"lingue"
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
At 2,11
"lingue"
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Gv 20,22
"soffiò"
Unica occorrenza nel NT, il verbo emphusàō (ἐμφυσάω) è usato in assoluto, senza complemento, con il significato di "soffiare, alitare": Gesù “è” il suo soffio e la sua parola è performativa, è un atto.
Raro nell’Antico Testamento, questo verbo implica un senso di creazione legato al dono della vita (Gen 2,7 e Sap 15,11), oppure l'atto di ridare la vita dopo la morte (Ez 37,9; 1Re 17,21).
La Scrittura così chiamata in causa esprime la risurrezione in termini di creazione. Per Giovanni, spetta a Gesù Cristo comunicare lo Spirito, e così si compie la sua mediazione: Colui che “consegna” lo spirito sulla croce è colui che abilita i discepoli a “ricevere, prendere” lo Spirito. Come la passione morte e risurrezione, si tratta di un unico mistero.
Commento alla Liturgia
Tutti insieme
Roberto Pasolini
Nel giorno di Pentecoste la verità del mistero pasquale si manifesta in tutta la sua mite potenza: il Signore risorto effonde su di noi il suo Spirito, per renderci capaci di entrare in una vita nuova, libera dalle ambiguità, affrancata dai pesi inutili, felice di essere chiamata a grandi responsabilità. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, la comunità dei credenti ritorna a «quel giorno» (Gv 20,19) in cui la vita risorta del Dio fatto carne ha iniziato a dimorare nell’esistenza spaventata e vulnerabile dei suoi discepoli. Il Signore Gesù appare nel «luogo dove si trovavano» i discepoli, bloccati e barricati a causa di un grande «timore». Senza alcun risentimento, senza nessuna rabbia, senza nemmeno quel sottile senso di superiorità che si prova quando si esce vittoriosi da un difficile momento,
«venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!” (Gv 20,19).
Il dono annunciato da tutti i profeti per i tempi messianici, la pace di Dio in cui la vita è piena e abbondante per tutti, viene offerto improvvisamente a persone che si sentono presumibilmente e comprensibilmente vuote. Del resto, la paura si vince solo così: non con una semplice rassicurazione, ma con una generosa restituzione di vita, in cui oltre a tamponare la tristezza, si prova anche a voltare pagina e a guardare avanti. Pentecoste è festa di riconciliazione che risana perché è fuoco di amore che «all’improvviso» incendia ogni realtà; è Spirito che salva perché, «impetuoso» (At 2,2), riesce a trasformare ogni paralisi in un impensabile slancio missionario verso gli altri. Dopo aver annunciato ai discepoli che il loro destino non è altro che la possibilità di condividere quanto hanno visto e udito, il Signore Gesù compie un gesto di (ri)creazione su di loro, soffiando e dicendo:
«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).
A coloro che hanno tradito, rinnegato, preferito il fuggire al rimanere, viene offerta una «manifestazione particolare dello Spirito» (1Cor 12,7): l’occasione di poter non annunciare più se stessi, ma l’unico amore fedele e vero, quello di Dio. Solo a partire da un perdono incondizionato e pieno, si può apprendere un linguaggio – quello della misericordia – capace di aprire qualsiasi porta e di toccare ogni cuore. Nello stupore di tutti, il giorno di Pentecoste, gli apostoli si manifestano come il segno di una nuova umanità capace di vivere non più chiusa in se stessa, ma protesa verso tutti:
«Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?» (At 2,8).
Lo Spirito Santo sceso su «ciascuno di loro» (2,3), ma anche sulla disponibilità a rimanere «tutti insieme nello stesso luogo» (2,1), conferisce ai discepoli il singolare «potere di esprimersi» non più per difendere la vita – sempre – minacciata, ma per promuovere «il bene comune» (1Cor 12,7), nell’assoluta certezza che la bontà di Dio ormai si è manifestata per sempre: «Gesù è Signore» (12,3). Celebrare il dono della Pasqua fino all’entusiasmo della Pentecoste significa accettare di vivere «sotto l’azione dello Spirito Santo» (12,3), per accogliere con responsabilità la missione di portare a ogni fratello e sorella che si incontri nel cammino della vita la bella notizia che i nostri fallimenti non sono più il luogo in cui siamo condannati a rimanere chiusi nel timore, ma una tomba dove è possibile incontrare l’amore infinito di Dio che è sceso su di noi unicamente per risollevarci a vita nuova. Non resta che rimanere nella speranza di poter annunciare senza timore la grande gioia di aver ricevuto uno Spirito capace di trasformare e coinvolgere ogni situazione nel mistero della chiesa, una casa scardinata da un «vento» (At 2,2) di appassionato amore, dove nessuno è più solo e ciascuno è prezioso, dal momento che – in Cristo – «noi tutti siamo stati battezzati» e divenuti «un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi» (1Cor 12,13).
Il verbo sumplēroō (συμπληρόω) compare nel Nuovo Testamento solo sotto la penna di Luca e significa “riempire interamente, compiere”. La stessa formula è usata in Lc 9,51, al momento cruciale della salita di Gesù a Gerusalemme: questo particolare indica che l’intento del narratore, con questo termine, è porre un segno di cesura, la fine di un’attesa e l’inizio di un nuovo periodo.La costruzione epì tò autò (ἐπὶ τὸ αὐτό), che letteralmente significa “sulla stessa cosa”, ha un sapore biblico: nella Settanta traduce infatti l’ebraico yahad (insieme), utilizzato nei Salmi come avverbio della vita comunitaria. Il gruppo di credenti è riunito intorno ai dodici apostoli che, fra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa, sono i garanti della continuità.Il verbo sugcheō (συγχέω), “gettare nella confusione”, è lo stesso verbo usato, nella traduzione di Gen 11,9 da parte della Settanta, per indicare la confusione delle lingue provocata da Dio nell’episodio della torre di Babele. Nel Nuovo Testamento, solo Luca lo usa.Il “come”, pōs (πῶς), non riguarda la modalità, ma l’origine di questa sorprendente capacità di comprendersi, che trascende i limiti e raggiunge ognuno nella sua cultura nativa.L’espressione eirēnē hymīn (εἰρήνη ὑμῖν) corrisponde al saluto ebraico shālōm alēkem. Tuttavia, qui non si tratta di un semplice saluto nè di un augurio ma di un dono, frutto della vittoria della vita sulla morte. Quando nell’AT il saluto della pace è rivolto da un essere celeste, esso si rivela efficace e salutare (cf. Gdc 6,23; Dn 10,19). Anche il dono della pace portato da Gesù susciterà nei discepoli il coraggio di uscire e intraprendere la missione.Letteralmente, il verbo kratèō (κρατέω), qui tradotto con “perdonare”, significa “trattenere”, nelle molteplici sfumature dell’esercizio di un potere: “raggiungere un obiettivo”, “afferrare, prendere il controllo di qualcuno o qualcosa”, “impedire”, ma anche “aderire, attenersi”. All’interno di questa gamma di significati si può cogliere l’azione di “far sì che una condizione persista, sia tenuta in piedi”: che il peccato dei fratelli resti tale dipende da una parola dei discepoli, da una nostra parola.Letteralmente, il verbo kratèō (κρατέω), qui tradotto con “perdonare”, significa “trattenere”, nelle molteplici sfumature dell’esercizio di un potere: “raggiungere un obiettivo”, “afferrare, prendere il controllo di qualcuno o qualcosa”, “impedire”, ma anche “aderire, attenersi”. All’interno di questa gamma di significati si può cogliere l’azione di “far sì che una condizione persista, sia tenuta in piedi”: che il peccato dei fratelli resti tale dipende da una parola dei discepoli, da una nostra parola.
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Commento alla Liturgia
Pentecoste
Prima lettura
At 2,1-11
1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. 5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 103(104)
R. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Oppure:
R. Alleluia, alleluia, alleluia.
Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature. R.
Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra. R.
Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore. R.
Seconda Lettura
1Cor 12,3b-7.12-13
3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: "Gesù è anàtema!"; e nessuno può dire: "Gesù è Signore!", se non sotto l'azione dello Spirito Santo. 4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 12Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
Vangelo
Gv 20,19-23
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: "Pace a voi!". 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi". 22Detto questo, soffiò e disse loro: "Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati".
Note
Approfondimenti
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Luca costruisce intorno al termine glōssa (γλῶσσα) una colta polisemia, indicando al tempo stesso la lingua di fuoco e il linguaggio e tessendo un gioco sottile tra totalità e individuazione: tutti sono toccati ma la lingua si posa “su ciascuno”, conferendo a ciascuno un’identità particolare, legata a un dono proprio, ma non separato dagli altri.
Luca redige questo testo in stile biblico (imitatio) riprendendo la Settanta quando descrivere la teofania di Dio al Sinai e il dono della Legge, che sarebbe stata proclamata nelle lingue dei 70 popoli del mondo. L’uso di questo vocabolario indica che Luca propone in quella teofania fondatrice il codice interpretativo della prima Pentecoste della Chiesa conservando, della festa ebraica della Pentecoste (shavuot o festa delle Settimane), l’idea di un’alleanza fondatrice.
Da notare che At 2 non annulla Gen 11: la pluralità delle lingue di Babele è annunciata come una decisione di Dio come freno a ogni ideologia totalitaria, a ogni pensiero unico. La Pentecoste non ripristina un linguaggio unico ma invita a discernere l’unità nell’irriducibile pluralità delle lingue.
Unica occorrenza nel NT, il verbo emphusàō (ἐμφυσάω) è usato in assoluto, senza complemento, con il significato di "soffiare, alitare": Gesù “è” il suo soffio e la sua parola è performativa, è un atto.
Raro nell’Antico Testamento, questo verbo implica un senso di creazione legato al dono della vita (Gen 2,7 e Sap 15,11), oppure l'atto di ridare la vita dopo la morte (Ez 37,9; 1Re 17,21).
La Scrittura così chiamata in causa esprime la risurrezione in termini di creazione. Per Giovanni, spetta a Gesù Cristo comunicare lo Spirito, e così si compie la sua mediazione: Colui che “consegna” lo spirito sulla croce è colui che abilita i discepoli a “ricevere, prendere” lo Spirito. Come la passione morte e risurrezione, si tratta di un unico mistero.
Tutti insieme
Nel giorno di Pentecoste la verità del mistero pasquale si manifesta in tutta la sua mite potenza: il Signore risorto effonde su di noi il suo Spirito, per renderci capaci di entrare in una vita nuova, libera dalle ambiguità, affrancata dai pesi inutili, felice di essere chiamata a grandi responsabilità. Cinquanta giorni dopo la Pasqua, la comunità dei credenti ritorna a «quel giorno» (Gv 20,19) in cui la vita risorta del Dio fatto carne ha iniziato a dimorare nell’esistenza spaventata e vulnerabile dei suoi discepoli. Il Signore Gesù appare nel «luogo dove si trovavano» i discepoli, bloccati e barricati a causa di un grande «timore». Senza alcun risentimento, senza nessuna rabbia, senza nemmeno quel sottile senso di superiorità che si prova quando si esce vittoriosi da un difficile momento,
«venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!” (Gv 20,19).
Il dono annunciato da tutti i profeti per i tempi messianici, la pace di Dio in cui la vita è piena e abbondante per tutti, viene offerto improvvisamente a persone che si sentono presumibilmente e comprensibilmente vuote. Del resto, la paura si vince solo così: non con una semplice rassicurazione, ma con una generosa restituzione di vita, in cui oltre a tamponare la tristezza, si prova anche a voltare pagina e a guardare avanti.
Pentecoste è festa di riconciliazione che risana perché è fuoco di amore che «all’improvviso» incendia ogni realtà; è Spirito che salva perché, «impetuoso» (At 2,2), riesce a trasformare ogni paralisi in un impensabile slancio missionario verso gli altri. Dopo aver annunciato ai discepoli che il loro destino non è altro che la possibilità di condividere quanto hanno visto e udito, il Signore Gesù compie un gesto di (ri)creazione su di loro, soffiando e dicendo:
«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).
A coloro che hanno tradito, rinnegato, preferito il fuggire al rimanere, viene offerta una «manifestazione particolare dello Spirito» (1Cor 12,7): l’occasione di poter non annunciare più se stessi, ma l’unico amore fedele e vero, quello di Dio.
Solo a partire da un perdono incondizionato e pieno, si può apprendere un linguaggio – quello della misericordia – capace di aprire qualsiasi porta e di toccare ogni cuore. Nello stupore di tutti, il giorno di Pentecoste, gli apostoli si manifestano come il segno di una nuova umanità capace di vivere non più chiusa in se stessa, ma protesa verso tutti:
«Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?» (At 2,8).
Lo Spirito Santo sceso su «ciascuno di loro» (2,3), ma anche sulla disponibilità a rimanere «tutti insieme nello stesso luogo» (2,1), conferisce ai discepoli il singolare «potere di esprimersi» non più per difendere la vita – sempre – minacciata, ma per promuovere «il bene comune» (1Cor 12,7), nell’assoluta certezza che la bontà di Dio ormai si è manifestata per sempre: «Gesù è Signore» (12,3).
Celebrare il dono della Pasqua fino all’entusiasmo della Pentecoste significa accettare di vivere «sotto l’azione dello Spirito Santo» (12,3), per accogliere con responsabilità la missione di portare a ogni fratello e sorella che si incontri nel cammino della vita la bella notizia che i nostri fallimenti non sono più il luogo in cui siamo condannati a rimanere chiusi nel timore, ma una tomba dove è possibile incontrare l’amore infinito di Dio che è sceso su di noi unicamente per risollevarci a vita nuova. Non resta che rimanere nella speranza di poter annunciare senza timore la grande gioia di aver ricevuto uno Spirito capace di trasformare e coinvolgere ogni situazione nel mistero della chiesa, una casa scardinata da un «vento» (At 2,2) di appassionato amore, dove nessuno è più solo e ciascuno è prezioso, dal momento che – in Cristo – «noi tutti siamo stati battezzati» e divenuti «un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi» (1Cor 12,13).
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