Nella predicazione di Paolo, la riconciliazione è il centro del vangelo cristiano, il primo effetto della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Il verbo katallassō (καταλλάσσω) è una forma composta del verbo allassō (alterare, cambiare) e del sostantivo allos (altro). Nel senso di “rendere altro”, denota quindi un cambio nelle relazioni o nelle situazioni. Il linguaggio della riconciliazione (katallaghē, καταλλαγή, v. 11) non ha equivalenti in ebraico e in aramaico, in cui vi sono termini che si avvicinano – per il senso di “rappacificare, placare” – prevedendo un qualche atto di restituzione del prevaricatore verso chi ha subito il torto, ma senza comportare un mutamento di rapporti o sentimenti personali.
È stato Paolo a mettere al centro della sua teologia la riconciliazione, probabilmente a partire da qualche testo confessionale dei primi autori cristiani.
- Dio è sempre il soggetto del verbo katallassō: diversamente dalla visione giudaica è Dio che si riconcilia con gli uomini, mai l’inverso.
- La riconciliazione di Dio con gli uomini e con il mondo è fondata su Gesù Cristo, non su quanto gli uomini tentano di fare per piacere a Dio.
- La riconciliazione avviene mediante la morte: la morte fisica del Messia ma anche la morte dell’autosufficienza dell’uomo davanti a Dio.
- Dio ha delegato il ministero della riconciliazione a uomini deboli, a loro volta riconciliati con Dio.
Per Paolo, il vangelo cristiano è molto più della “giustificazione”, della “redenzione”, dell’“espiazione”, termini con cui si parlava della salvezza negli ambienti cristiani giudaici. Vi è un aspetto personale e relazionale che Paolo aveva conosciuto soltanto grazie all’incontro con Dio e alla sua personale esperienza. È questo che sceglie di mettere al cuore dell’annuncio cristiano.
Commento alla Liturgia
XI Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Es 19,2-6a
2Levate le tende da Refidìm, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. 3Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: "Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: 4"Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. 5Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! 6Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa". Queste parole dirai agli Israeliti".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 99(100)
R. Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.
Acclamate il Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza. R.
Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo. R.
Buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione. R.
Seconda Lettura
Rm 5,6-11
6Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. 7Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui. 10Se infatti, quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
Vangelo
Mt 9,36-10,8
36Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!". 1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. 2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, colui che poi lo tradì. 5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
Note
Approfondimenti
Nella predicazione di Paolo, la riconciliazione è il centro del vangelo cristiano, il primo effetto della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Il verbo katallassō (καταλλάσσω) è una forma composta del verbo allassō (alterare, cambiare) e del sostantivo allos (altro). Nel senso di “rendere altro”, denota quindi un cambio nelle relazioni o nelle situazioni. Il linguaggio della riconciliazione (katallaghē, καταλλαγή, v. 11) non ha equivalenti in ebraico e in aramaico, in cui vi sono termini che si avvicinano – per il senso di “rappacificare, placare” – prevedendo un qualche atto di restituzione del prevaricatore verso chi ha subito il torto, ma senza comportare un mutamento di rapporti o sentimenti personali.
È stato Paolo a mettere al centro della sua teologia la riconciliazione, probabilmente a partire da qualche testo confessionale dei primi autori cristiani.
Per Paolo, il vangelo cristiano è molto più della “giustificazione”, della “redenzione”, dell’“espiazione”, termini con cui si parlava della salvezza negli ambienti cristiani giudaici. Vi è un aspetto personale e relazionale che Paolo aveva conosciuto soltanto grazie all’incontro con Dio e alla sua personale esperienza. È questo che sceglie di mettere al cuore dell’annuncio cristiano.
Volare
Un’immagine particolarmente toccante apre la liturgia della parola di questa domenica ed è posta direttamente sulla bocca del Signore. La frase dell’esodo in cui Dio parla di se stesso viene proclamata «dal monte» (Es 19,3) dove, per la prima volta, il Signore ha rivelato a Mosé il suo nome ineffabile, chiamandolo a esserne manifestazione in mezzo la popolo oppresso dalla schiavitù. Davanti alle perplessità e alle paure di Mosé, accanto ad altri segni, il Signore Dio aveva dato appuntamento su «questo monte» (Es 3,12). E proprio in occasione di questo appuntamento, ecco come il Signore interpreta se stesso e la propria opera:
«Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me» (Es 19,4).
Marie Noëlle Thabut spiega il particolare modo con cui le aquile insegnano l’arte del volo ai loro piccoli. Non li lanciano semplicemente nel vuoto come gli altri uccelli ma li fanno abituare al vuoto portandoli sulle loro grandi ali: quando se la sentono, gli aquilotti si lanciano spontaneamente. Ma persino allora le aquile rimangono vicine ai loro piccoli perché – se vogliono o ne hanno semplicemente voglia – possono riposarsi, nel duplice senso posarsi di nuovo per un riposino sulle loro ali magnifiche e sicure. Un’immagine assai suggestiva per cogliere l’abisso profondo di ciò che ci viene detto nel vangelo:
«Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore senza pastore» (Mt 9,36).
E se è normale che l’aquila si prenda a cuore il volo dei suoi piccoli, è naturale che un pastore si prenda a cuore che il suo gregge venga condotto in sicurezza e tranquillità verso pascoli abbondanti.
Questa duplice e unica cura di Dio verso il suo popolo – la libertà e la serenità – si trasforma nella missione propria che il Signore Gesù affida agli aposotoli:
«diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e di infermità» (Mt 10,1).
Sembra che non ci sia nulla che possa resistere alla forza terapeutica dell’annuncio del vangelo di Gesù Cristo: «guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni» (Mt 10,8). Tra queste due solenni investiture che fanno degli apostoli dei pleni-potenziari del vangelo di salvezza, l’evangelista Matteo inserisce la lista - completa e talora commentata – dei nomi dei «dodici apostoli» (10,2). Questa inclusione sembra voler dire che gli apostoli sono i primi beneficiare delle cure del Signore, i primi ad aver imparato – e almeno nel caso di Giuda a non aver imparato – l’arte del volo spirituale, che da sempre il Creatore cerca di insegnare e trasmettere a noi che siamo sue creature amate. Per insegnare a volare bisogna aver rischiato di lanciarsi nel vuoto! Così pure per guarire a tutti i livelli bisogna aver riconosciuto di avere bisogno di guarigione e di salvezza.
Se queste sono la missione e il ministero degli apostoli, allora risulta chiaro che la condizione non è un concorso in cui fare sfoggio di qualità e competenze, ma una sempre più profonda sensibilità all’amore misericordioso e compassionevole di Dio nei nostri confronti. Come infatti dice Paolo, nella seconda lettura, non bisogna mai e per nessun motivo perdere la memoria che:
«mentre noi eravamo peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito» (Rm 5,6)
e tra questi ci siamo anche noi! Su questa memoria di essere stati salvati e chiamati a vivere in un’amicizia che non abbiamo meritato ma che ci è stata offerta gratuitamente e pagata a caro prezzo, si fonda tutta la missione della Chiesa e la testimonianza di ciascun credente. Allora diventa quanto mai chiaro che, alla consegna della missione da parte del Signore Gesù, si accompagna il mandato dello stile secondo il vangelo del Signore Gesù, che si riassume in una sola frase:
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).
Non rifletteremo mai abbastanza su questa regola aurifera che regola l’annuncio e la testimonianza di fede. Non ci verificheremo ma abbastanza sulla nostra capacità o meno di non tesaurizzare il vangelo per noi stessi - facendone un pretesto per la nostra gloria e sicurezza - ma riceverlo per donarlo a piene mani e con cuore straripante di «compassione» a tutte quelle «pecore perdute» (10,6) di cui condividiamo – almeno in parte – lo smarrimento.
Se prendiamo coscienza di questa regola del vangelo per annunciare che «il regno dei cieli è vicino» (10,7) senza mai identificarlo con noi stessi, allora l’invito iniziale del Signore diventa la chiave di volta della missione e la sua atmosfera abituale:
«Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» (9,38).
Questa parola è rivolta direttamente «ai suoi discepoli» (9,37), è rivolta direttamente a ciascuno di noi proprio mentre il Signore sta per chiamarci e designarci come suoi testimoni. Siamo chiamati non perché migliori, ma solo e semplicemente nella speranza che impariamo da lui a fare come lui. Paolo ce lo spiega mirabilmente: «ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene» e l’apostolo aggiunge «Ma Dio dimostra il suo amore per noi…» (Rm 5,7-8). Ecco svelato il segreto dell’Aquila che è Cristo, il quale «è morto per noi». Adesso tocca a noi! Dopo essere stati sollevati «su ali di aquila» (Es 19,4) gratuitamente, è tempo di sollevare a nostra volta e gratuitamente per dare «rifugio» (Ap 12,14) ai nostri fratelli e sorelle più deboli o più stanchi. In tal modo inaugureremo la strada del vangelo, su cui si cammina sempre e solo «a due a due» (Mc 6,7) così come vengono elencati i nomi degli apostoli: uno per amare e l’altro per essere amato. E non si è mai sempre e solo dalla stessa parte.
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