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L’uso ripetuto di questa formula al dativo denota l’importanza dell’annuncio che Paolo vuole trasmettere in questi versetti: il vangelo cristiano è personale e relazionale, e implica la partecipazione di coloro che lo accolgono, ai quali questo annuncio, secondo Paolo, può davvero cambiare la vita.
L’uso ripetuto di questa formula al dativo denota l’importanza dell’annuncio che Paolo vuole trasmettere in questi versetti: il vangelo cristiano è personale e relazionale, e implica la partecipazione di coloro che lo accolgono, ai quali questo annuncio, secondo Paolo, può davvero cambiare la vita.
Nel Vangelo di Matteo, i piccoli sono considerati i destinatari del Vangelo di salvezza. Così come i termini “sapienti” (sophos, σοφός) e “intelligenti” (dotti, sunetos, συνετός), anche “piccoli” (nēpios, νήπιος) si presenta senza articolo. Questa assenza sottolinea una caratteristica piuttosto che una categoria precisa di persone: tutti possono rivestire questo ruolo, talvolta riuscendo a essere piccoli, altre volte credendosi intelligenti.
Il verbo epighinōsko (ἐπιγινώσκω), con la sua sfumatura di “riconoscimento”, assume qui un valore teologico e significa non un fatto intellettuale ma l’accoglienza reciproca tra il Padre e il Figlio.
Questo termine πραΰς (praùs) è proprio solo di Matteo in tutto il Nuovo Testamento, se si esclude una occorrenza in 1Pt 3,4. La mitezza è presentata come una beatitudine (Mt 5,5) e come una caratteristica peculiare di Gesù. Esplicito il richiamo alla descrizione del re messianico fatta dal profeta Zaccaria (21,5), che Matteo cita al momento dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme subito prima della Passione. Mitezza e umiltà erano infatti le prerogative del Messia atteso nella tradizione ebraica, che riferisce queste qualità anche a Mosè.
L’immagine del ζυγός (zugòs), strumento ben noto alle antiche attività agricole, nella letteratura neotestamentaria assume essenzialmente un senso figurato, in riferimento al peso della schiavitù oppure, come in questo caso, interpretato come il peso dell’osservanza della Legge, che nella tradizione giudaica l’ebreo accettava di portare per servire Dio. Gesù può definirlo “dolce” e “leggero” perché lui stesso si offre di condividerlo.
Commento alla Liturgia
XIV Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Zc 9,9-10
9Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. 10Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 144(145)
R. Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre. R.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature. R.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. R.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto. R.
Seconda Lettura
Rm 8,9.11-13
9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. 12Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, 13perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
Vangelo
Mt 11,25-30
25In quel tempo Gesù disse: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero".
Note
Peso leggero
Nei giorni in cui tutti cominciamo a coltivare il desiderio di poterci un po’ rinfrancare dalle fatiche dell’anno in corso e ristorare dalle condizioni climatiche del tempo di estate, la liturgia ci viene incontro offrendoci parole di grande speranza e di misteriosa leggerezza. Il sapiente intreccio che scaturisce dalle letture di questa domenica fornisce preziose indicazioni per costruire il necessario alleggerimento della fatica di vivere, attraverso un modo più consapevole di incarnare il desiderio e il cuore di Dio.
Il profeta Zaccaria rivolge alla «figlia di Sion» inviti di esultanza a causa della sicura venuta del Signore in mezzo alle rovine di Gerusalemme: «Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro, figlio d’asina» (Zc 9,9). La giustizia del Signore Dio appare come la capacità di entrare nella realtà senza il bisogno di spaventare nessuno, pur senza rinunciare a condurre ogni realtà dentro il disegno di Dio, attraverso una convinta e solida mitezza. Solo così, il Signore desidera fare – senza farsi – giustizia:
«Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra» (Zc 9,10).
Ciò che il profeta prospetta a Gerusalemme è la possibilità di una situazione di ritrovata «pace» internazionale a partire dalla coraggiosa scelta di un totale disarmo, dove si avrà la forza di rinunciare alla violenza come logica di dominio sugli altri e come strumento di controllo sulla realtà. La parola profetica annuncia un’opportunità di vita tranquilla e buona nella misura in cui siamo disposti a camminare gli uni verso gli altri a mani nude, con un cuore mite e pacificato.
Se, invece, uno spirito combattivo si rende necessario, direbbe san Paolo, è quello che non dobbiamo stancarci di coltivare per non rimanere «sotto il dominio della carne» e porci con grande risolutezza sotto il dominio «dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in» (Rm 8,9) noi. Con questo linguaggio, che attinge le categorie di carne/spirito dall’antropologia biblica, si deve intendere la scelta tra due modi antitetici di affrontare il cammino della fede. Quello della carne, anche quando si veste di abitudini religiose, resta segnato da una logica di soddisfazione del proprio «io» che, presto o tardi, prepara – o almeno consente – la corsa alle armi, con grave dispendio di energie e sicuro affaticamento dell’anima. Il modo di vivere secondo lo Spirito, al contrario, non può che incarnarsi come una modalità più serena e pacifica di tendere al compimento di ogni cosa nell’amore, perché si nutre della capacità di donarsi e dell’abitudine di affermare non più se stessi, ma la vita dell’altro. Tutto questo esige un serio e continuo discernimento alle porte del proprio cuore,
«perché se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8,12-13).
Con un differente linguaggio, ma con la medesima prospettiva, il Signore Gesù nel vangelo propone a tutti di partire proprio dall’esperienza di stanchezza come molla per tornare a essere discepoli disposti ad apprendere nuove e più desiderabili forme di esistenza:
«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29).
L’invito evangelico mostra quale strada sia sempre possibile percorrere perché il disegno del profeta Zaccaria non resti solo un’immagine poetica, ma una concreta possibilità per noi e per gli altri. Si tratta di assumere il giogo – sempre – «dolce» (11,30) di una vita non più sola perché sempre in cerca di nuove e migliori forme di condivisione. Una vita nuova, capace di trasformare la fatica della comunione con l’altro nel «peso leggero» (11,30) di uno scambio generoso e gratuito, dove tutto è ormai condiviso e partecipato nell’amore:
«E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8,11).
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