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Alla lettera, il testo parla di “giusti” (dikaios, δίκαιος), che per Matteo non sono semplicemente i “buoni”. Al v. 43 i giusti che “splenderanno come il sole nel regno del Padre loro” sono coloro che rispettano la Torah e vivono un rapporto di fedeltà con Dio e con gli altri. In 27,19, Gesù è definito come “quel giusto” che resta fedele a Dio fino alla fine.
Commento alla Liturgia
Giovedì della XVII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Es 40,16-21.34-38
16Mosè eseguì ogni cosa come il Signore gli aveva ordinato: così fece. 17Nel secondo anno, nel primo giorno del primo mese fu eretta la Dimora. 18Mosè eresse la Dimora: pose le sue basi, dispose le assi, vi fissò le traverse e rizzò le colonne; 19poi stese la tenda sopra la Dimora e dispose al di sopra la copertura della tenda, come il Signore gli aveva ordinato. 20Prese la Testimonianza, la pose dentro l'arca, mise le stanghe all'arca e pose il propiziatorio sull'arca; 21poi introdusse l'arca nella Dimora, collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all'arca della Testimonianza, come il Signore aveva ordinato a Mosè. 34Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora. 35Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora. 36Per tutto il tempo del loro viaggio, quando la nube s'innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano le tende. 37Se la nube non si innalzava, essi non partivano, finché non si fosse innalzata. 38Perché la nube del Signore, durante il giorno, rimaneva sulla Dimora e, durante la notte, vi era in essa un fuoco, visibile a tutta la casa d'Israele, per tutto il tempo del loro viaggio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 83(84)
R. Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti!
L’anima mia anela
e desidera gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente. R.
Anche il passero trova una casa
e la rondine il nido
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio. R.
Beato chi abita nella tua casa:
senza fine canta le tue lodi.
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio,
cresce lungo il cammino il suo vigore. R.
Sì, è meglio un giorno nei tuoi atri
che mille nella mia casa;
stare sulla soglia della casa del mio Dio
è meglio che abitare nelle tende dei malvagi. R.
Vangelo
Mt 13,47-53
47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente , dove sarà pianto e stridore di denti. 51Avete compreso tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì". 52Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche". 53Terminate queste parabole, Gesù partì di là.
Note
Approfondimenti
La traduzione del verbo ekballō (ἐκβάλλω) riflette l’antica interpretazione dei Padri della Chiesa come Girolamo e Origene, secondo cui il padrone di casa “estrae” o “seleziona” le cose dal suo tesoro. Probabilmente la loro comprensione associa questo versetto a Lc 6,45, in cui si parla dell’uomo che “estrae” dal suo tesoro il bene, ma il verbo greco utilizzato in questo caso è un altro, ovvero propherō (προφέρω).
Letteralmente, ekballō significa “espellere, scacciare” (per esempio gli spiriti impuri). Con questo significato, lo scriba-discepolo si comporta come l’uomo che, trovato un tesoro, si libera di tutto quello che possiede – e anche che ha imparato – per seguire Gesù, per accogliere il Regno dei cieli.
Estrarre
L’ultima immagine a cui Gesù fa riferimento, nel lungo discorso in parabole del c. 13 di Matteo, è dominata da due forme verbali rappresentative della dinamica e dell’essenza stessa del Regno: «raccogliere» e «separare». Volendo tirare le somme e consegnare ai discepoli una rappresentazione conclusiva, in grado di compendiare la logica del vangelo, il Maestro decide di paragonare il regno dei cieli a «una rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci» (Mt 13,47). Il primo verbo impiegato dall’evangelista per denotare l’attività di raccolta del pesce è particolarmente pregnante, essendo lo stesso da cui deriva il termine «sinagoga», il luogo di adunanza religiosa della comunità ebraica. La straordinaria capienza della rete, in grado di radunare la totalità dei pesci conosciuti, trova poi nell’insegnamento di Gesù una corrispondenza nell'assoluta calma con cui viene effettuato il momento della cernita di tutto ciò che è stato pescato:
«Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi» (Mt 13,48).
Descrivendo una semplice scena di pesca ordinaria, ampiamente diffusa nella Galilea del tempo di Gesù, viene così attirata l’attenzione sul particolare dei pescatori che si mettono a sedere in tutta tranquillità per poter svolgere il lavoro di selezione dei pesci buoni e di quelli cattivi.
Il senso complessivo della parabola è tutto orientato a restituire fiducia in quella fase, così preliminare eppure così fondamentale, della raccolta che precede il momento della cernita. Questo passaggio – dice il Signore Gesù – si deve poter compiere in una grande generosità e con un’operosa serenità. Solo dopo che le reti hanno svolto il loro compito e si sono riempite di ogni specie di pesci, si può procedere anche alla loro – necessaria – separazione: «Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni» (13,49).
Anche nel racconto dell’Esodo, Mosè cerca di osservare con estremo scrupolo le indicazioni di Dio per costruire la Dimora della sua presenza, finalizzata a offrire al popolo una guida e un’assistenza durante il faticoso cammino di libertà attraverso il deserto:
«Mosè eresse la Dimora: pose le sue basi, dispose le assi, vi fissò le traverse e rizzò le colonne […] poi introdusse l’arca nella Dimora, collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all’arca della Testimonianza, come il Signore aveva ordinato a Mosè» (Es 40,18.21).
L’adempimento meticoloso delle indicazioni ricevute sul monte sta a significare non tanto – o non solo – che Mosè è un fedele esecutore della parola di Dio, ma piuttosto che Dio intende essere estremamente fedele al suo desiderio di entrare in alleanza con il popolo salvato dalla schiavitù dell’Egitto: «Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la Dimora» (40,34). Il testo rileva, però, un’ambiguità laddove il narratore lascia intendere che nel luogo dove Dio dimora non ci può essere posto anche per l’uomo:
«Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora» (Es 40,35).
In realtà, il racconto chiarisce subito questo tratto oscuro, mostrando un Dio che resta separato dall’uomo non certo per attenuare il suo coinvolgimento, ma solo per poter rimanere in una posizione di guida assolutamente libera da qualsiasi manipolazione: «Per tutto il tempo del loro viaggio, quando la nube s’innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano le tende. Se la nube non si innalzava, essi non partivano, finché non si fosse innalzata» (40,36-37).
Attraverso questo segno, il Signore Dio Altissimo ha insegnato a Israele a saper riconoscere il momento in cui è possibile fermarsi, distinguendolo da quello in cui è necessario riprendere l’avventura del cammino. Attraverso il discorso in parabole, il Signore Gesù, il Dio fatto carne, insegna oggi a ciascuno di noi che non può esserci alcuna vita nuova e redenta se non siamo disposti a discernere il reale, per diventare come un «padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52).
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