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La prima prerogativa dell’esperienza del popolo giudaico, che Paolo elenca in questo versetto, viene espressa con il termine “Israeliti”, a differenza dei capitoli precedenti, in cui il termine utilizzato è “giudei”. Quando si identifica con il suo popolo, Paolo li chiama “Israeliti”, termine scelto intenzionalmente per indicare la consapevolezza che il popolo ha di essere eletto da Dio, di essere il popolo dell’alleanza. Questa dimensione spirituale dell’esistenza è il più importante privilegio dato da Dio.
Le Scritture parlano speso della “gloria del Signore” (doxa, δόξα) come del fulgore della presenza divina presente nelle esperienze e nel culto del popolo di Israele (dal deserto alla tenda, dalla consegna della legge sul Sinai alle visioni profetiche). Sperimentare la gloria divina nella propria vita, come Israeliti o come credenti in Gesù di qualsiasi etnia, è possedere un tesoro di grande valore.
Letteralmente, questa quinta caratteristica della vita di Israele significa “dare leggi, legiferare”. Il termine greco nomothesia (νομοθεσία) potrebbe riferirsi alla consegna della legge da parte di Dio, alla ricezione della legge da parte del popolo, alla promulgazione della legge da parte dei maestri di Israele o all’insieme delle direttive divine raccolte dai rabbi giudei. Probabilmente Paolo pensa qui alla consegna di Dio al suo popolo Israele delle sue parole: infatti Israele aveva come istruttore Dio stesso.
La sesta prerogativa menzionata da Paolo è “il culto di Dio” (latreia, λατρεία). Nei LXX il termine è usato nella descrizione della Pasqua nel senso veterotestamentario di “sistema sacrificale”. Nella visuale di Paolo e dei suoi destinatari romani, con "culto” si intende qualcosa di più: benché il culto cristiano resti legato alla religione d’Israele, per Paolo il culto autentico di Dio è più ampio e più libero dai vincoli formali. Qui probabilmente è da intendersi in senso allargato, a comprendere sacrifici del tempio, culti domestici, osservanza del sabato, recita dello Shemà e anche la cena del Signore.
Esclusa la scena del Getsemani, questa è l’unica volta, nel vangelo di Matteo, in cui Gesù si ritira per pregare. Il Gesù di Matteo prega quasi esclusivamente nell’orto degli Ulivi.
Letteralmente, “alla quarta veglia” (tetartē de phulakē, τετάρτῃ δὲ φυλακῇ), cioè tra le 3 e le 6 del mattino.
L’aggettivo oligòpistos (ὀλιγόπιστος) è proprio esclusivamente di Matteo (con l’eccezione di Lc 12,28). Apparentemente sembra un rimprovero, ma in realtà non è così: probabilmente per incoraggiare la sua comunità, Matteo attenua alcune espressioni di Marco più dure (4,40; 8,17), in cui Gesù dice ai discepoli che non hanno fede o hanno il cuore indurito. Nel primo Vangelo, invece, i discepoli sono chiamati a far leva sul poco che hanno.
Commento alla Liturgia
XIX Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
1Re 19,9a.11-13a
9Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: "Che cosa fai qui, Elia?". 11Gli disse: "Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore". Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. 13Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: "Che cosa fai qui, Elia?".
Salmo Responsoriale
Dal Sal 84(85)
R. Mostraci, Signore, la tua misericordia.
Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annuncia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli.
Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra. R.
Amore e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo. R.
Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino. R.
Seconda Lettura
Rm 9,1-5
1Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: 2ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. 3Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. 4Essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Vangelo
Mt 14,22-33
22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: "È un fantasma!" e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: "Coraggio, sono io, non abbiate paura!". 28Pietro allora gli rispose: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". 29Ed egli disse: "Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".
Note
Approfondimenti
Il secondo privilegio dato da Dio è la “figliolanza” (huiothesia, υἱοθεσία), termine che compare solo cinque volte nelle lettere di Paolo. Nelle Scritture giudaiche il termine non c’è, nemmeno nel greco della Settanta, e neanche negli scritti giudaici successivi o in altri scritti del NT.
Si può dire dunque che l’uso di “adozione” come metafora per definire il rapporto del popolo con Dio è esclusivo di Paolo, ma doveva essere compresa dai credenti in Gesù sia giudei sia gentili.
Paolo riprende huiothesia dal contesto socio-giuridico romano del tempo, poiché l’adozione a figlio non era prassi giudaica, e se ne serve come una metafora relazionale di ciò che Dio ha compiuto mediante Gesù Cristo.
Gli aspetti più rilevanti dell’adozione sono che il figlio adottato viene introdotto in un rapporto nuovo con il padre adottivo, che inizia una nuova vita e tutti i suoi debiti sono cancellati, che è considerato importante come gli altri figli biologici, che riceve un nome nuovo dal padre adottivo.
Brezza leggera
Per accedere al significato della singolare esperienza di Dio che Elia giunge a fare sul monte Oreb, è indispensabile richiamare brevemente alla memoria il contesto narrativo. Il re Acab ha sposato Gezabele, una principessa fenicia che favorisce in Israele il culto di Baal e promuove una feroce persecuzione contro il Dio d’Israele. Elia, «pieno di zelo per il Signore degli eserciti» (1Re 19,10) uccide di spada quattrocentocinquanta profeti di Baal, scannandoli «nel torrente Kison» (18,40). Così facendo crede di osservare scrupolosamente la Legge di Dio, che vieta l’adorazione e il culto di altri dei. La regina Gezabele naturalmente va su tutte le furie ed Elia scappa «per salvarsi» (19,3) la pelle. È questo il momento in cui avviene l’incontro con Dio nella caverna di cui parla la lettura di oggi.
In questo luogo ritirato e oscuro, Elia si trova prima davanti un «vento impetuoso», «ma il Signore non era nel vento», poi nel mezzo di «un terremoto», «ma il Signore non era nel terremoto», poi di fronte a «un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco» (19,11-12). Infine, giunge «il sussurro di una brezza leggera» (19,12): allora Elia «si coprì il volto con il mantello» (19,13) perché finalmente era il turno del Signore.
Il profeta, dopo aver dato sfogo al suo zelo e alla sua ira ardente, arriva a comprendere che Dio non può imporre la sua presenza in maniera violenta e aggressiva, come fanno il vento, il fuoco e il terremoto. Dio desidera essere creduto e accolto nella libertà, perciò si manifesta nella voce sottile di un silenzio, nel peso leggero di una presenza/assenza che solo la fede può intuire ed accogliere. Questa esperienza purifica il cuore di Elia, finalmente costretto a spogliarsi di tutte le immagini eccessive di una divinità potente e intollerante. Attraverso un lungo cammino, soprattutto dentro se stesso, Elia giunge a scoprire e ad accettare che Dio è leggero, lieve come una brezza.
Anche i discepoli, seguendo il Signore Gesù, giungono all’esperienza di un simile volto di Dio, molto più leggero dei loro sogni, molto meno pesante dei loro incubi. Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù spegne tutti gli entusiasmi, costringendo i discepoli a salire sulla barca per precederlo sull’altra riva, «finché non avesse congedato la folla» (Mt 14,22). Poi si allontana da tutti e si mette a pregare, per conservare l’unione con il Padre e rimanere fedele alla logica dell’Incarnazione, senza diventare il Messia dei miraggi e dei miracoli. I discepoli, a malincuore, obbediscono al comando e si trovano ben presto nel cuore di una vera e propria tempesta: la barca «era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario» (14,24). La primitiva comunità cristiana ha conservato il ricordo di questa angosciosa notte – di cui si parla in tutti i vangeli – perché in essa ha riconosciuto una parabola a cui si espone inevitabilmente il cammino di ogni figlio di Dio. Per fortuna il Signore «sul finire della notte» non ha paura di venirci incontro, «camminando sul mare» (14,25), cioè sull’oceano delle nostre paure. Tuttavia, il suo arrivo non estingue immediatamente la nostra angoscia, anzi la fa esplodere:
«Vedendo(lo) camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura» (Mt 14,26).
La presenza di Dio nella nostra vita è discreta, lieve; solo la fede la riconosce. Come già aveva capito il profeta Elia, Dio si rende sensibile come un vento leggero, che accarezza e scompiglia i capelli, come una brezza che tocca delicatamente il contorno della nostra vita. Facciamo fatica a credere che Dio sia vicino e presente nella nostra vita in una forma così tenue. Per questo sentiamo sempre il bisogno di mettere alla prova Dio chiedendo ulteriori segni per riuscire a credere: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque» (14,28). Provando a camminare sulle acque Pietro scopre che se guardiamo la furia del vento siamo invasi dalla paura e affondiamo sotto il peso delle nostre angosce, ma se gridiamo e afferriamo la mano del Signore il vento si placa. E noi ricominciamo a credere, a partire dalla brezza della nostra fede, così leggera eppure così vera:
«Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Mt 14,31).
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