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L’offerta di se stessi a Dio è definita in termini cultuali come “sacrificio vivente”, thusia zōsa (dal verbo zaō, ζάω), ossia non una vittima uccisa come erano i sacrifici di animali nel tempio giudaico, ma il sacrificio della persona intera in tutta la sua energia e vitalità.
Il verbo paristēmi (παρίστημι) è proprio del linguaggio sacrificale e designa l’atto di devozione personale. Per Paolo questo atto consiste nell’offerta di se stessi (i vostri corpi).
Letteralmente, il testo fa riferimento alle “misericordie” (oiktirmos, οἰκτιρμός) di Dio, al plurale, per indicare tutte le opere della misericordia divina connesse alla predicazione del vangelo (la giustificazione, la salvezza, la gloria, l’amore) più che un’idea astratta di misericordia.
Questa grande metamorfosi di cui parla Paolo con il verbo metamorphoō (μεταμορφόω) non è una forma esteriore che i credenti in Gesù devono assumere nelle loro pratiche di vita. È piuttosto il completo mutamento interiore del pensiero, della volontà e dei desideri, che i cristiani sono esortati a consentire a Dio di compiere nella loro vita: il verbo è infatti al passivo. Il cambiamento esteriore negli atti e nella condotta è un effetto di questa trasformazione interiore.
Il verbo deî (δεῖ) significa “dovere, essere necessario”, Matteo lo riprende da Marco 8,31 e lo utilizzerà di nuovo nel Getsemani (26,54: così deve avvenire). Il destino di sofferenza e morte che Gesù annuncia non è il frutto di un capriccio divino, ma di una volontà misteriosa eppure paterna. Accogliendola Gesù mostra un modo di essere Messia diverso da quello atteso, e per questo in entrambi i casi questo “dovere” non è compreso.
Dalla precedente traduzione del v. 23 si poteva capire che Gesù allontanasse Pietro da sé, invece lo invita ad andare dietro (opisō, ὀπίσω) di lui: “dietro” Gesù è il posto del discepolo, che Pietro ha abbandonato per mettersi davanti, divenendo così un ostacolo, un inciampo, una pietra di “scandalo” rispetto al progetto del Padre. Dunque Pietro viene redarguito per essere confermato nella sequela. Proprio come tutti coloro che, nel v. 24, vogliono andare “dietro” Gesù.
Dalla precedente traduzione del v. 23 si poteva capire che Gesù allontanasse Pietro da sé, invece lo invita ad andare dietro (opisō, ὀπίσω) di lui: “dietro” Gesù è il posto del discepolo, che Pietro ha abbandonato per mettersi davanti, divenendo così un ostacolo, un inciampo, una pietra di “scandalo” rispetto al progetto del Padre. Dunque Pietro viene redarguito per essere confermato nella sequela. Proprio come tutti coloro che, nel v. 24, vogliono andare “dietro” Gesù.
Commento alla Liturgia
XXII Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Ger 20,7-9
7Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. 8Quando parlo, devo gridare, devo urlare: "Violenza! Oppressione!". Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. 9Mi dicevo: "Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!". Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 62(63)
R. Ha sete di te, Signore, l'anima mia.
O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua. R.
Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode. R.
Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. R.
Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene. R.
Seconda Lettura
Rm 12,1-2
1Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. 2Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
Vangelo
Mt 16,21-27
21Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: "Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai". 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". 24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
Note
Approfondimenti
In tutte le lettere paoline, l’aggettivo logikòs (λογικός) compare solo qui. Ne sono state tentate molte traduzioni. Quella che più sembra accordarsi con l’appello ai credenti in Gesù nel versetto seguente di trasformarsi “rinnovando il modo di pensare” è forse “culto razionale”, nel senso che, per chi ha sperimentato le misericordie di Dio, è del tutto “ragionevole” – sia intellettualmente sua spiritualmente – darsi interamente a Dio.
Paolo si serve di un linguaggio cultuale, nel senso che la vita cristiana è vissuta come culto reso a Dio dal credente.
Inoltre, benché nella LXX l’aggettivo logikòs non è presente, è un termine diffuso e utilizzato da molti filosofi greci (Aristotele, Platone, poi gli stoici), pertanto doveva essere compreso da gentili, giudei e credenti in Gesù di qualunque etnia.
Fuoco
Una delle cosiddette “confessioni di Geremia” ci prepara ad ascoltare cosa avviene come conseguenza della “confessione di Pietro”, di cui abbiamo letto nel vangelo di domenica scorsa. Geremia, come ogni discepolo, è in lotta con se stesso e porta un combattimento nel più profondo del suo cuore, in cui è continuamente spinto a tirarsi indietro e ad andare avanti nella sua fedeltà alla chiamata ricevuta:
«Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9).
Di questo medesimo fuoco, e forse persino ancora più divampante, arde il cuore del Signore Gesù quando prende posizione davanti ai “buoni consigli” che Simon Pietro cerca di elargire con amorevole cura nei confronti del suo Maestro, in cui certamente c’è anche una buona dose di preoccupazione per la propria incolumità. Le parole sono infuocate: «Va’ dietro a me, Satana!». La motivazione di questa parola dura esige una profonda attenzione:
«Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mt 16,23).
L’apostolo Paolo si fa interprete della parola del Signore Gesù e ne delinea con ulteriore chiarezza le conseguenze per la vita del discepolo: «vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» e aggiunge «è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Il culto spirituale cui fa riferimento l’apostolo Paolo è un culto che deve continuamente passare attraverso il crogiolo purificante di un impegno esistenziale che rende la vita di ogni giorno «secondo Dio». Mentre Simon Pietro si mostra preoccupato per la sorte del Signore Gesù, questi sembra più preoccupato di quella che sarà la reazione dei discepoli dinanzi al mistero della sequela, dinanzi al mistero della vita, e per questo non parla della sua croce che già si delinea sempre più chiaramente all’orizzonte, ma di quella con cui ciascuno di noi è chiamato a misurarsi:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24).
Per il Signore Gesù non si tratta mai di “una” croce qualunque e, soprattutto, mai nessuno può portare la croce di un altro, proprio come nessuno può custodire nel cuore il fuoco di una passione e di un amore che non gli appartengano. Come discepoli siamo oggi chiamati a porre lo sguardo sul mistero di Cristo e a ri-scegliere ancora una volta di entrare e di rimanere in una logica di perdita, che certamente è di scandalo a noi stessi come lo è per tutti coloro che entrano in contatto con la nostra vita:
«Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).
Solo un fuoco che arde nel cuore potrà darci la forza, come Geremia e come Gesù, di non spegnere mai in noi la passione di una ricerca per la quale saremo disposti a perdere tutto pur di non perdere noi stessi.
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