Il verbo splagchnizomai (σπλαγχνίζομαι) contiene un riferimento alle viscere (splagchnon, σπλάγχνον), che nella Bibbia sono la sede dei sentimenti di pietà, compassione e misericordia. Nel greco classico, invece, le viscere sono sede di altre forti passioni, come l’ira, il furore, il trasporto amoroso. In Matteo questo verbo ha sempre come soggetto Gesù verso le folle, tranne in questo caso in cui è il re del racconto – facilmente identificabile con Dio – a provare compassione per il servo.
A differenza di Marco che ne parla, Matteo normalmente non esplicita le reazioni umane di Gesù, ad eccezione proprio della compassione. In questa parabola esclusivamente matteana, la compassione diventa perdono e condono dei debiti. E proprio per questo Gesù costituisce i Dodici, che ne dovranno essere il segno concreto.
Commento alla Liturgia
XXIV Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Sir 27,33–28,9
1Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. 2Perdona l'offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. 3Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? 4Lui che non ha misericordia per l'uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? 5Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, chi espierà per i suoi peccati? 6Ricòrdati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. 7Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l'alleanza dell'Altissimo e dimentica gli errori altrui. 8Astieniti dalle risse e diminuirai i peccati, perché l'uomo passionale attizza la lite. 9Un uomo peccatore semina discordia tra gli amici e tra persone pacifiche diffonde la calunnia.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 102(103)
R. Il Signore è buono e grande nell'amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. R.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe. R.
Seconda Lettura
Rm 14,7-9
7Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, 8perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 9Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Vangelo
Mt 18,21-35
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". 22E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".
Note
Approfondimenti
Il verbo splagchnizomai (σπλαγχνίζομαι) contiene un riferimento alle viscere (splagchnon, σπλάγχνον), che nella Bibbia sono la sede dei sentimenti di pietà, compassione e misericordia. Nel greco classico, invece, le viscere sono sede di altre forti passioni, come l’ira, il furore, il trasporto amoroso. In Matteo questo verbo ha sempre come soggetto Gesù verso le folle, tranne in questo caso in cui è il re del racconto – facilmente identificabile con Dio – a provare compassione per il servo.
A differenza di Marco che ne parla, Matteo normalmente non esplicita le reazioni umane di Gesù, ad eccezione proprio della compassione. In questa parabola esclusivamente matteana, la compassione diventa perdono e condono dei debiti. E proprio per questo Gesù costituisce i Dodici, che ne dovranno essere il segno concreto.
Non per noi stessi
Dopo il vangelo della «correzione» fraterna, cha ci ha ricordato la necessità di legarci agli altri rimanendo però assolutamente sciolti dagli esiti, Pietro si avvicina a Gesù per porre la domanda che sta certamente nel cuore di ogni discepolo:
«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18,21).
Sappiamo bene quanto sia difficile rimanere in un atteggiamento di apertura nei confronti del nemico, soprattutto quando la sua porta resta inesorabilmente chiusa di fronte a noi; quanto sia difficile continuare a percorrere la strada della riconciliazione quando tutto sembra ormai perduto. Eppure, il Signore Gesù sembra non avere alcun dubbio a riguardo:
«Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22).
Nella parabola del servo malvagio appare piuttosto evidente come la questione del perdono non sia affatto un problema di quantità, ma di qualità e, soprattutto, di motivazioni.
«Diecimila talenti» (18,24) – il debito del primo personaggio – sono una cifra enorme, qualcosa come oltre trecento tonnellate d’oro. Invece, i «cento denari» (18, 28) del secondo debitore sono in proporzione una piccola somma, pari a mezzo chilogrammo d’argento. La parabola definisce con queste quantità una situazione volutamente paradossale: una persona appena affrancata dal saldo di un grosso debito si infuria con un suo piccolo debitore, anziché esercitare verso di lui la stessa pazienza di cui è appena stato oggetto. Se questa mancanza di pietà può sembrare frutto di una assurda cattiveria, il testo evangelico suggerisce di considerarla figlia di un delirante ottimismo. Le parole con cui il servo spietato cerca e ottiene pietà tradiscono una grande presunzione nelle proprie capacità: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» (18,27). L’illusione di poter rimediare ai fallimenti della vita rimboccandoci le mani sta alla radice della nostra difficoltà ad accogliere il perdono non come una cosa da fare (tante volte), ma come un modo di essere (sempre).
Il motivo per cui facciamo fatica a perdonare, forse, non è solo perché il nostro cuore è duro, ma anche il contrario: siamo così convinti di essere buoni e di farcela con le nostre forze, da vivere senza la memoria di quanto sia la gratuità a custodire ogni relazione autentica. Ritenendoci sempre in credito e mai in debito, ci sentiamo autorizzati a sopportare gli altri e i loro sgarbi solo per un tempo limitato. Il vangelo annuncia che la realtà è molto diversa: siamo tutti radicalmente poveri e debitori. Nessuno è in grado di (ri)pagare il bene ricevuto e il male compiuto. Ciascuno di noi è debitore di una somma enorme, impossibile da rifondere. Per questo Cristo non ha potuto semplicemente aiutarci, ma ha dovuto salvarci, offrendo liberamente la sua vita sulla croce:
«Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9).
Solo se iniziamo a concepirci così, amati da Dio come figli in modo gratuito e incondizionato, possiamo vivere consapevoli che il perdono non può essere un gesto occasionale ma deve diventare il respiro con cui riceviamo e doniamo vita. Solo se custodiamo una sincera gratitudine per le cose di cui possiamo disporre, possiamo ricominciare a stare in una relazione fraterna con il nostro prossimo. Pronti ad arrivare fino al perdono ogni volta che serve, quando ci accorgiamo che nella realtà manca quella pazienza che proprio noi possiamo esercitare. Il vangelo non ci invita ad assumere posture strane o innaturali, ma ci lancia un appello a essere uomini e donne in grado di compromettersi con la realtà non a partire dai diritti maturati, ma dalla novità del vangelo e dalla prospettiva del Regno. La rivelazione della paternità di Dio ci «costringe», in ogni circostanza, a verificare se siamo disposti ad assumere seriamente il vincolo della fraternità, dove
«nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore» (Rm 14,7).
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