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Nel greco corrente, il verbo opheilō (ὀφείλω) era di uso comune in ambito finanziario e giuridico. Paolo lo usa in senso metaforico, come la Settanta, per descrivere la condizione del credente di essere in debito con Dio per la salvezza che Dio ha attuato mediante Gesù e l’opera dello Spirito.
Il verbo elegchō (ἐλέγχω) compare solo qui nel Vangelo di Matteo. Significa “correggere, convincere (di un errore commesso), ammonire”. È il verbo utilizzato in Lv 19,17: «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; “rimprovera” apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui».
Insieme all’occorrenza in 16,18 queste sono le uniche volte in tutti i vangeli dove compare la parola ecclēsia (ἐκκλησία). Nella lettera di Giacomo, “sinagoga” e “ecclesia” sono usate quasi come sinonimi. Infatti entrambi questi termini traducono l’ebraico qāhāl, “assemblea sinagogale”. Poiché nella Bibbia Israele è la “chiesa di Dio”, agli ebrei credenti in Gesù spetta farsi carico della persona che sbaglia, e anche del motivo del suo smarrimento.
Questa endiadi si trova solo qui in tutto il NT. Nel giudaismo del I secolo, i pagani non erano mai disprezzati, mentre i pubblicani o esattori delle tasse erano considerati come ladri e peccatori. Gesù invece non ha preclusioni verso nessuna di queste categorie. È probabile quindi che con questo detto stia invitando i suoi a superare ogni esclusione nella logica del perdono, di una giustizia superiore. Essere come un pagano e un pubblicano – categorie deboli in quanto peccatori – significa essere al centro della cura del Maestro, il quale desidera che la Chiesa faccia altrettanto.
Nel greco classico, il verbo sumphōneō (συμφωνέω) esprime l’accordo degli strumenti in una esecuzione musicale e nella Settanta esprime l’armoniosa bellezza della Torah. Qui è usato per dire che bisogna “accordarsi” per ottenere. Alla comunità dei credenti è dato il potere di “sciogliere”, di aiutare chi ha bisogno, esprimendo un aspetto della carità: quello della comune responsabilità.
Commento alla Liturgia
XXIII Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Ez 33,1.7-9
1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 7O figlio dell'uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. 8Se io dico al malvagio: "Malvagio, tu morirai", e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. 9Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 94(95)
R. Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia. R.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. R.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere». R.
Seconda Lettura
Rm 13,8-10
8Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell'amore vicendevole; perché chi ama l'altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai , e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.
Vangelo
Mt 18,15-20
15Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. 18In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. 19In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. 20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro".
Note
Approfondimenti
Nella letteratura greca sia classica sia della koinè si usavano tre parole per “amore”: philia, termine generale per “amore” e “amicizia”; erōs, che si riferisce principalmente all’amore sessuale; storghē, riferito abitualmente all’amore in contesti familiari. Dell’amore come agapē (ἀγάπη), invece, non si parla in nessuno scritto greco non biblico pervenuto. Nella Settanta il termine compare 20 volte, in senso generico.
Nel NT, al contrario, il termine compare 120 volte, di cui 75 nelle epistole di Paolo, che lo usa in modo ripetuto con l’articolo, denotando qualcosa di specificamente cristiano: l’amore personale che dà se stesso, proprio di Dio Padre e di Cristo per il loro popolo, lo stesso amore che i cristiani offrono in risposta a Dio e a Gesù ma anche l’uno per l’altro.
Paolo non ritiene il compimento della legge mosaica come ideale della vita cristiana, anche se certamente l’etica del credente deve essere conforme ai principi e alle intenzioni dei comandamenti. È l’amore cristiano, tuttavia, che solo può compiere ciò che la legge richiede.
Con questa celebre frase, Gesù fa capire che è possibile sperimentare la sua presenza proprio nella comunione, nella fragile “sinfonia” di “due o tre” che si radunano nel suo nome.
Matteo offre così un indizio per rispondere alla grande domanda che percorre tutto il suo Vangelo: come può il Dio-con-noi (Mt 1,23) essere con i suoi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28,20)?
I lettori di Matteo conoscevano il concetto di Shekinà, quella presenza di Dio non limitata al santuario, ma estesa a ogni sua manifestazione. Dopo la caduta del tempio, tristemente nota ai lettori di Matteo, la presenza di Dio “in mezzo” ai suoi è segnalata proprio dalla Torah – che Gesù non è venuto a sostituire ma ad approfondire – e da Gesù stesso.
Uscire
La Parola di Dio oggi si prende cura delle nostre relazioni ferite perché possano diventare delle relazioni approfondite anche quando, per vari motivi, non possono essere delle relazioni riuscite. Il primo passo che il Signore ci chiede di compiere nella relazione fraterna è quello di fare il primo passo senza aspettare che l’altro si avveda e si ravveda. Si tratta di accettare, come il padre della parabola lucana, di percorrere sempre l’ultimo tratto di strada che ci separa dall’altro, per non farlo vergognare e perché non si senta troppo e inutilmente umiliato: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo» e aggiunge «se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (Mt 18,15). Bisogna rinunciare ad attendere l’altro al varco aspettando che faccia un passo falso a partire dal quale si possano, infine e finalmente, regolare i conti. Il Signore Gesù chiede ai suoi discepoli di essere capaci – sempre, e persino quando si è subito un torto – di uscire dal proprio spazio per rischiare di entrare nello spazio dell’altro, rischiando così di scoprire che anche l’altro ha qualcosa da dirmi e che anch’io ho «una colpa contro» il fratello che esige di essere curata e guarita.
La relazione ferita può diventare l’occasione di crescere in una relazione approfondita e può persino stupire e sorprendere per delle possibilità di incontrarsi e di amarsi anche in modi diversi. L’apostolo Paolo non lascia scampo a nessuna scusa: «non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole». La motivazione sembra essere non solo fondamentale, ma persino assoluta:
«perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge» (Rm 13,8).
Il dovere di amare sempre e comunque non va inteso semplicemente come un atto religioso pio e devoto, è invece l’apertura ad accogliere e coltivare il proprio essere adulti, sia come persone che come credenti. Infatti, proprio la capacità di andare verso l’altro anche quando abbiamo l’impressione che l’altro sia contro di noi, ci permette di scoprire talora che il fratello cammina semplicemente accanto a noi, anche se lo fa in un modo diverso che è il suo. Questo cammino che invera e rivela il suo essere, particolare e unico, se accolto, non può che arricchire la mia stessa vita.
Per i discepoli del Signore Gesù la relazione fraterna non è da pensare in vista di un benessere emotivo, ma è da ripensare e scegliere ogni giorno come un servizio profetico:
«O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa di Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 33,7).
È la capacità adulta di essere in ascolto di Dio che ci abilita a rischiare la parola nella relazione con il fratello la cui qualità e verità sta proprio nel fatto che, mentre ammonisce e consiglia, lo fa sempre in attitudine di ascolto e in un atteggiamento inerme e disponibile. Andare verso l’altro, infatti, significa sempre esporsi all’altro. Proprio questo rende presente la logica del Regno di Dio, tanto che
«se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19).
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