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Il verbo hēgeomai (ἡγέομαι) è tipico della Lettera ai Filippesi e indica un giudizio una valutazione fondata che porta a una corrispondente decisione.
Il sostantivo tapeinosophrune (ταπεινοφροσύνη) non è utilizzato nell’AT (dove compare invece l’aggettivo), mentre nel NT descrive il rapporto con Dio oppure tra cristiani nelle loro relazioni comunitarie. La collocazione del termine qui prepara così il verbo corrispondente in 2,8.
Si tratta di un’espressione idiomatica greca, per esprimere l’uso di una situazione a proprio vantaggio. Il sostantivo harpagmos (ἁρπαγμός) indica una realtà posseduta, conquistata anche con la forza o con il furto, che si vuole a tutti i costi conservare.
Il sostantivo schēma (σχῆμα) indica la forma esteriore e riconoscibile di qualcosa o qualcuno. Quindi Cristo non solo fu come gli altri uomini, ma fu il suo comportamento a farlo riconoscere come tale.
Nel greco biblico, il verbo kenoō (κενόω) è usato sempre in senso metaforico. Questo è l’unico passo in cui è costruito con un pronome riflessivo, per mettere in risalto l’aspetto personale e libero dello svuotamento di Cristo, che consiste nell’assumere la condizione dello schiavo.
Questa è l’unica occorrenza del verbo huperupsoō (ὑπερυψόω) in tutto il NT e descrive un’esaltazione al massimo livello, che include implicitamente la risurrezione e l’ascensione di Cristo.
L’avverbio husteron (ὕστερον) è importante perché fa rilevare la differenza di atteggiamento tra il figlio che si ricrede e i capi dei sacerdoti che invece non lo fanno nemmeno alla fine.
Il verbo metamelomai (μεταμέλομαι) è proprio di Matteo e ricorre solo in questa parabola (2 volte) e in 27,3, dove si racconta del pentimento di Giuda. Evoca la capacità di ricredersi, il coraggio di contraddirsi, di cambiare idea, di andare oltre il proprio sentire. Può anche avere una connotazione di dispiacere, di pentimento per qualcosa che si vorrebbe non aver fatto.
Il concetto di giustizia (dikaiosune, δικαιοσύνη) per Matteo ha un significato specifico: un comportamento giusto è conforme alla volontà di Dio, e quello di Giovanni Battista è esemplare in questo senso. Fin dall’inizio del Vangelo Gesù dichiara, proprio davanti a Giovanni, che il suo programma è di compiere ogni giustizia, cioè metterla in pratica. Il nucleo della parabola sta sul rapporto tra il dire e il fare, tipico della tradizione biblica: il dire può restare ambiguo, solo il fare è decisivo. Chi fa la volontà del Padre non è chi ha detto sì, ma chi ha lavorato nella vigna.
L’avverbio husteron (ὕστερον) è importante perché fa rilevare la differenza di atteggiamento tra il figlio che si ricrede e i capi dei sacerdoti che invece non lo fanno nemmeno alla fine.
Commento alla Liturgia
XXVI Domenica Tempo Ordinario
Prima lettura
Ez 18,25-28
25Voi dite: "Non è retto il modo di agire del Signore". Ascolta dunque, casa d'Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? 26Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. 27E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. 28Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 24(25)
R. Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno. R.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore. R.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via. R.
Seconda Lettura
Fil 2,1-11
1Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. 3Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. 4Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri. 5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: "Gesù Cristo è Signore!", a gloria di Dio Padre.
Vangelo
Mt 21,28-32
28"Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: "Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna". 29Ed egli rispose: "Non ne ho voglia". Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: "Sì, signore". Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?". Risposero: "Il primo". E Gesù disse loro: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.
Note
Ipotesi
L’esortazione di Paolo, nonostante cada casualmente nella sequenza delle letture di questa domenica, è un grande aiuto per comprendere non solo le parole del Signore Gesù che troviamo nel Vangelo, ma pure quelle del profeta Ezechiele che ne preparano la comprensione profonda e generosa:
«se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi» (Fil 2,1-2).
L’invito a essere unanimi ritorna così spesso nelle esortazioni dell’apostolo, nondimeno radica in un bisogno insopprimibile nel cuore di ciascuno e trova oggi, attraverso la rivelazione della Parola, il suo fondamento più profondo. Si tratta del fondamento più vero senza il quale ogni sforzo, per quanto sincero e appassionato, rischia di cadere nel vuoto. Per questo è necessario ritrovare l’unità del proprio cuore, la riconciliazione dei propri desideri, la memoria del proprio combattimento interiore verso la pace e la verità che ci rende veramente fratelli e sorelle di tutti e amici di noi stessi.
Il Signore Gesù pone una domanda ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e, sotto questo simbolo, si rivolge a ciò che in noi stessi rischia di essere cerebrale, direttivo, pregiudicante. In tal modo ci chiede di scendere dalla supponenza dei nostri super-ideali all’assunzione del reale di noi stessi, che ci apre all’accoglienza serena e piena di «compassione» (Fil 2,1) della fatica e della ricerca dei nostri fratelli. Paolo ci spinge ad assumere nientemeno che «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (2,5) e ci svela che l’unico modo per farlo non è inseguire un ideale alto ed etereo, per quanto ammirabile, ma quello di svuotarsi di ogni pretesa su se stessi. Questa è l’unica via per liberarsi da ogni pretesa sugli altri tanto da conoscere l’unico «privilegio» (2,6) che fu del Maestro e che vorremmo fosse pure il nostro: assomigliare talmente al Padre dei cieli da essere riconosciuti come suoi figli e chiamati per questo da tutti con il nome e la realtà di fratelli.
Il primo passo, quello senza il quale nulla di tutto ciò sarebbe possibile, è indubbiamente l’accoglienza di quella lotta interiore che ci accompagna nell’accogliere esistenzialmente e fattivamente «la volontà del padre» (Mt 21,31). Questa volontà si può riassumere in una sola parola che diventa una sfida: che noi siamo, ci sentiamo e ci comportiamo da fratelli. Per essere tali bisogna riconoscere di portare dentro di noi una passione che spesso diventa lotta e contraddizione e che pure non è capace di separarci dal progetto di Dio, che non esclude nessuno… neppure «i pubblicani e le prostitute». Al nostro modo di immaginare la realtà come tendente alla negatività, il Signore contrappone un modo diverso di essere compagni di cammino:
«E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso» (Ez 18,27).
Ciò che fa vivere è l’ipotesi che sia possibile – sempre e nonostante tutto – un cambiamento e un miglioramento per tutti. Mentre il “capo” e il “sacerdote” - che sono dentro di noi - rischiano di ipotizzare sempre il peggio. Invece, il Padre che ci ama e ci accompagna è sempre capace di mettere a punto l’ipotesi del meglio, chiedendoci di assumere i suoi stessi «sentimenti» e di fare nostra la sua ipotesi sull’umanità aspettandoci comunque il meglio.
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