Commento alla Liturgia

Lunedì della XXIX settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Rm 4,20-25

20Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, 21pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. 22Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. 23E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato , 24ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, 25il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

Salmo Responsoriale

Da Lc 1,68-75

R. Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato il suo popolo.

Ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo. R.
 
Salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza. R.
 
Del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. R.
 

Vangelo

Lc 12,13-21

13Uno della folla gli disse: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità". 14Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?". 15E disse loro: "Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede". 16Poi disse loro una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: "Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!". 20Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?". 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio".

Commento alla Liturgia

Accumulare

Roberto Pasolini

Il vangelo odierno trae spunto da una situazione, purtroppo, assai frequente nelle vicende familiari, che si presenta quando accade di dover spartire l’eredità lasciata da un defunto. Quasi inconsapevolmente, ci si trova a contendere, a discutere e a litigare pesantemente con le stesse persone che fino a un momento prima erano care e familiari. Improvvisamente ci si scopre attaccati al denaro e ai beni di questo mondo in un modo esagerato. Il Signore Gesù non perde l’occasione per strappare i nostri occhi — soprattutto il nostro cuore — da questo seducente idolo.

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede» (Lc 12,15).

L’insegnamento è limpido, preciso: quello che siamo non dipende da quello che abbiamo, o al limite avremo. Pertanto dobbiamo rinunciare all’abitudine di controllare il registro di cassa, per verificare se il nostro bilancio è in crescita o in diminuzione. Soprattutto dobbiamo difenderci dal morboso desiderio di avere il frigorifero sempre pieno — anzi sovrabbondante — di quel che può sostenere e allietare i nostri giorni. Per non incorrere nella ridicola situazione di chi, dopo tanti sforzi di approvvigionamento, deve riconoscere di essersi affannato invano.

«“Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,20-21).

Gesù, come al solito, ci propone clamorosi capovolgimenti del modo di pensare e di vivere, senza stravolgere del tutto l’interno del nostro cuore. Il desiderio di rafforzare l’equilibrio della nostra vita, per esempio, è qualcosa che la sua parola non demonizza e non demolisce, ma orienta nella direzione dei beni durevoli, quelli che non solo ci sostengono e ci allietano, ma rimangono per sempre. È l’esperienza di Abramo, il nostro padre nella fede, che l’apostolo Paolo assume come paradigma di vera fede, e come esempio di chi ha avuto la sapienza di maturare crediti presso Dio e non per sé.

«Abramo non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia» (Rm 4,20-22).

Forse le contese tristi e gli inutili affanni trovano terreno facile in noi proprio quando perdiamo il ricordo e la consapevolezza di essere oggetto di meravigliose promesse da parte di Dio, sebbene il loro compimento quasi mai coincida con le nostre previsioni. Allora riusciamo a convincerci pienamente di cose futili e passeggere. Recuperare la memoria che il nostro nome è scritto in modo indelebile tra le pagine di una sceneggiatura divina è principio di sapienza, radice di vera libertà.

Cerca nei commenti

Al lessico della divisione appartengono sia il verbo merìzō (μερίζω) del v.13 che il sostantivo raro meristēs (μεριστής) al v. 14, tradotto con “mediatore”. È nota l’importanza della divisione della terra, attesa dalla speranza ebraica per la fine dei tempi e attestata nell’Antico Testamento. Agli di occhi di Luca, vi è una divisione di eredità terrene nel proprio interesse e nella dimenticanza del prossimo, come quella auspicata dal fratello della parabola, e una divisione compiuta nell’ottica del regno che viene. Gesù vuole la condivisione, non la divisione. Letteralmente “vedete”, primo significato del verbo horaō (ὁράω), al quale viene assegnato qui un senso insolito: “state attenti, fate attenzione, proteggetevi da”, come in italiano “guardarsi da”. Il verbo evoca l’attenzione dello sguardo e poi la vigilanza dello spirito. Unica occorrenza in Luca, e in tutto il Nuovo Testamento, il verbo euphorèō (εὐφορέω) appartiene anzitutto al lessico della medicina: significa “essere in buona salute, essere prospero” e infine “portare frutti”. Vi sono interpretazioni diverse del termine psuchē (ψυχή), che in questo versetto viene tradotto prima con “me stesso” e subito dopo con “anima mia”: per alcuni commentatori è la sede dei godimenti sensibili e delle emozioni, per altri si tratta dell’essere interiore, considerato alla maniera ebraica come coincidente con la persona stessa. Interessante notare come l’anima non è la compagna che Dio ha desiderato per l’uomo fin da Gen 2, ma il proprio specchio. L’uomo della parabola non è consapevole della propria solitudine, si illude di essere in compagnia ma si riduce a un monologo con se stesso. Vi sono interpretazioni diverse del termine psuchē (ψυχή), che in questo versetto viene tradotto prima con “me stesso” e subito dopo con “anima mia”: per alcuni commentatori è la sede dei godimenti sensibili e delle emozioni, per altri si tratta dell’essere interiore, considerato alla maniera ebraica come coincidente con la persona stessa. Interessante notare come l’anima non è la compagna che Dio ha desiderato per l’uomo fin da Gen 2, ma il proprio specchio. L’uomo della parabola non è consapevole della propria solitudine, si illude di essere in compagnia ma si riduce a un monologo con se stesso. Descrivendo questo modo di accumulare disinteressato, letteralmente “verso Dio”, eis theòn (εἰς θεὸν), Luca esplicita la sua teologia alludendo soprattutto al denaro distribuito e all’amore che esso rappresenta. L’espressione “eis theòn” si comprende, ma resta singolare: la si può intendere nel senso di “in Dio, nei confronti di Dio”. Questo orientamento etico della vita corrisponde, per Luca, a un atteggiamento quotidiano che non deriva dalla pura volontà, ma è possibile solo a chi ha incontrato il Signore.

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