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Al lessico della divisione appartengono sia il verbo merìzō (μερίζω) del v.13 che il sostantivo raro meristēs (μεριστής) al v. 14, tradotto con “mediatore”. È nota l’importanza della divisione della terra, attesa dalla speranza ebraica per la fine dei tempi e attestata nell’Antico Testamento. Agli di occhi di Luca, vi è una divisione di eredità terrene nel proprio interesse e nella dimenticanza del prossimo, come quella auspicata dal fratello della parabola, e una divisione compiuta nell’ottica del regno che viene. Gesù vuole la condivisione, non la divisione.
Letteralmente “vedete”, primo significato del verbo horaō (ὁράω), al quale viene assegnato qui un senso insolito: “state attenti, fate attenzione, proteggetevi da”, come in italiano “guardarsi da”. Il verbo evoca l’attenzione dello sguardo e poi la vigilanza dello spirito.
Unica occorrenza in Luca, e in tutto il Nuovo Testamento, il verbo euphorèō (εὐφορέω) appartiene anzitutto al lessico della medicina: significa “essere in buona salute, essere prospero” e infine “portare frutti”.
Vi sono interpretazioni diverse del termine psuchē (ψυχή), che in questo versetto viene tradotto prima con “me stesso” e subito dopo con “anima mia”: per alcuni commentatori è la sede dei godimenti sensibili e delle emozioni, per altri si tratta dell’essere interiore, considerato alla maniera ebraica come coincidente con la persona stessa. Interessante notare come l’anima non è la compagna che Dio ha desiderato per l’uomo fin da Gen 2, ma il proprio specchio. L’uomo della parabola non è consapevole della propria solitudine, si illude di essere in compagnia ma si riduce a un monologo con se stesso.
Vi sono interpretazioni diverse del termine psuchē (ψυχή), che in questo versetto viene tradotto prima con “me stesso” e subito dopo con “anima mia”: per alcuni commentatori è la sede dei godimenti sensibili e delle emozioni, per altri si tratta dell’essere interiore, considerato alla maniera ebraica come coincidente con la persona stessa. Interessante notare come l’anima non è la compagna che Dio ha desiderato per l’uomo fin da Gen 2, ma il proprio specchio. L’uomo della parabola non è consapevole della propria solitudine, si illude di essere in compagnia ma si riduce a un monologo con se stesso.
Descrivendo questo modo di accumulare disinteressato, letteralmente “verso Dio”, eis theòn (εἰς θεὸν), Luca esplicita la sua teologia alludendo soprattutto al denaro distribuito e all’amore che esso rappresenta. L’espressione “eis theòn” si comprende, ma resta singolare: la si può intendere nel senso di “in Dio, nei confronti di Dio”. Questo orientamento etico della vita corrisponde, per Luca, a un atteggiamento quotidiano che non deriva dalla pura volontà, ma è possibile solo a chi ha incontrato il Signore.
Commento alla Liturgia
Lunedì della XXIX settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Rm 4,20-25
20Di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, 21pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. 22Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. 23E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato , 24ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, 25il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
Salmo Responsoriale
Da Lc 1,68-75
R. Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato il suo popolo.
Ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo. R.
Salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza. R.
Del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. R.
Vangelo
Lc 12,13-21
13Uno della folla gli disse: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità". 14Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?". 15E disse loro: "Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede". 16Poi disse loro una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: "Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!". 20Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?". 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio".
Note
Approfondimenti
Il termine pleonexìa (πλεονεξία) appartiene al lessico etico delle lettere e non a quello dei vangeli. È la sete di dominio, il desiderio di avere più degli altri, sotto forma di possessi o privilegi.
Il testo richiama la tradizione sapienziale di Israele sulla generosità messa in pratica durante la vita, che è un modo per prendersi cura di quanto avverrà dopo la morte.
Il testo esprime anche una verità teologica: dietro alla cupidigia si nasconde una paura che ci fa accumulare più di quanto sia necessario per vivere, e questo timore nasce dalla convinzione di poter evitare la morte riconducendo a sé tutta la vita disponibile. Solo quando non si è motivati dalla paura della mancanza ma dalla partecipazione al regno di Dio, si perviene a un rapporto giusto con il denaro.
Promessa
Tutta la nostra vita umana è un cammino di presa di coscienza e di crescita nella consapevolezza di quanto e di come la nostra umana avventura è più legata a ciò che è stato «promesso» e viene continuamente promesso nella verità e nella creatività di una relazione, piuttosto che nell’immobilità di un gioco di ricchezze che portano a dividere piuttosto che a condividere. In realtà, la richiesta che viene presentata al Signore Gesù diventa per noi un monito:
«Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità» (Lc 12,13).
Se la relazione con il Signore non ci porta un po’ oltre questo bisogno di parcellizzazione che corrisponde, in verità, a un processo di impoverimento, allora siamo sulla strada che conduce alla disumanizzazione. Nel nostro cuore siamo chiamati a coltivare e a far crescere un atteggiamento completamente diverso, come fece il nostro padre Abramo, «convinto che quanto» gli era stato «promesso era anche capace di portarlo a compimento» (Rm 4,21).
Il dinamismo della fede non è altro che un processo di sempre più grande apertura e disponibilità a camminare con gli altri, tanto da rendere impossibile – anzi assolutamente impensabile – un argomento come quello su cui si sofferma il protagonista della parabola: «riposati, mangia, bevi, divertiti!» (Lc 12,19). In realtà bisogna riconoscere che se la vita è relazione, allora quella di quest’uomo apparentemente così vivace è già morta a motivo della sua chiusura. Così la parola che gli viene rivolta dall’Altissimo più che una punizione ha tutta l’aria di essere una semplice constatazione, con cui non solo si prende atto, ma pure si cerca di cogliere tutte le conseguenze. La vita non consiste nell’avere la propria parte di eredità, ma di avere parte all’eredità, secondo il dramma vissuto dagli altri due fratelli (Cfr Lc 15) di cui Gesù ci parla in una delle sue più belle parabole. Laddove un uomo costruisce magazzini e recinti sempre «più grandi» (Lc 12,18), ecco che la sua vita diventa sempre più piccola e, in certo modo, proporzionalmente più vana e quindi anche più breve. Infatti, anche se fosse lunghissima, la morte sembrerà sempre una terribile ingiustizia. Laddove lo stolto ragiona «tra sé» (12,17) e parla in termini di possesso perfino dell’«anima mia» (12,19), il Signore ricorda, con la sua parola e il suo rifiuto di “mediazione”, che il tutto deve essere invece considerato «davanti a Dio» – in greco: verso Dio.
Lo spirito del Vangelo rivoluziona il nostro modo di relazionarci reciprocamente: siamo tentati dal fare le cose tra di noi – dividendo – mentre il Signore ci invita a riconsiderare tutto ciò che avviene tra noi – a livello orizzontale – a partire dalla direzione di fondo che è assolutamente verticale: verso Dio! Allora la domanda dello stolto rimane valida e intrigante, perché tradisce il nostro desiderio di ammassare per sentirci al sicuro: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?» (12,17). Lasciamoci interiormente lavorare e profondamente interrogare dall’esortazione evangelica:
«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (Lc 12,15)
perché dipende da ciò che condivide.
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