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Questa espressione somiglia a una formulazione cristologica propria di Luca, che in 12,37 parla del padrone (kùrios) che “si stringerà le vesti… e passerà a servire” i suoi servi: se si rilegge la parabola nella dimensione ecclesiale, che i termini utilizzati dall’evangelista possono richiamare, è verosimile che Luca consideri il servizio offerto da Cristo come il modello del servizio compiuto dai ministri della Chiesa.
L'aggettivo ἀχρεῖος (achreios), che traduciamo con «inutile», significa letteralmente privo di utile, di necessità economica. A dispetto di un'accezione negativa e svalutante, l'aggettivo può dunque esprimere tutta la libertà e la dignità di chi è disposto a mettersi a servizio non in vista di un tornaconto, ma solo per la gioia di poterlo fare. Potremmo tradurlo con: «senza utile», «gratuito».
Commento alla Liturgia
Martedì della XXXII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Sap 2,23–3,9
23Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura. 24Ma per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono. 1Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà. 2Agli occhi degli stolti parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, 3la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. 4Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza resta piena d'immortalità. 5In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; 6li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l'offerta di un olocausto. 7Nel giorno del loro giudizio risplenderanno, come scintille nella stoppia correranno qua e là. 8Governeranno le nazioni, avranno potere sui popoli e il Signore regnerà per sempre su di loro. 9Coloro che confidano in lui comprenderanno la verità, i fedeli nell'amore rimarranno presso di lui, perché grazia e misericordia sono per i suoi eletti.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 33 (34)
R. Benedirò il Signore in ogni tempo.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino. R.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo. R.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti. R.
Vangelo
Lc 17,7-10
7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? 8Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"".
Note
Provati
La prima lettura spinge lo sguardo del nostro cuore fino a quello che viene indicato come «il giorno del loro giudizio» (Sap 3,7). Da parte sua il Signore Gesù, nel vangelo, ci fa cogliere non solo e non tanto il tempo, ma anche il modo con cui saremo giudicati nel nostro essere meno degni dell’«incorruttibilità» (2,23) e dell’«immortalità» (3,4). Sono queste due nozioni non radicate né radicali nella sensibilità di Israele e che tuttavia, a poco a poco, soprattutto al tempo della predicazione del Signore Gesù, diventano un criterio di discernimento della bontà e della verità del proprio rapporto con Dio. Vivere pienamente questo rapporto con l’eterno non si limita più a un corretto modo di comportarsi nel tempo, un modo che garantirebbe una vita serena e felice, ma è qui considerato talmente profondo e vero da avere – in modo del tutto naturale – una valenza eterna. Il concetto di eternità, così caro agli Egizi e ai Greci, diventa sempre di più anche l’orizzonte della fede di Israele:
«In cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici» (Sap 3,5).
La solenne promessa non è scevra da qualche malinteso e da una certa ambiguità. Non si tratta infatti di un contrappasso tale per cui più si soffre in vita e più si dovrebbe godere nel futuro di Dio. Si tratta invece di un modo di concepire la vita - che comunque rimane un’avventura da vivere fino in fondo - qui e ora - senza rimandi inutili, e pur sempre con una certezza di pienezza. Ciò che fa la differenza non è una sorta di “fachirismo” spirituale spinto a oltranza che, pur con le sue punte di originalità e di venerabilità, ha segnato tante esperienze di fedeltà al Vangelo lungo i secoli, ma è il fatto di essere «provati» e «trovati degni di sé» (3,5). Ed è a questo che ci invita il Signore Gesù, come è su questo che ci esamina: sulla nostra capacità di essere «degni di sé»! Il modo per capirlo sembra essere assai semplice:
«Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).
Si può intendere questa parola del Signore come l’invito a una muta e subìta sottomissione, oppure come il modo per manifestare il proprio essere «provati» (Sap 3,5) nella relazione. Una matura e provata relazione è capace di accettare la sfida di mettere sempre l’altro al primo posto, non facendo troppo caso a se stessi e, al contempo, giocando interamente se stessi in relazione all’altro, per manifestare la verità della propria identità. L’immagine del padrone che non sente neppure il bisogno di ringraziare perché si arroga il diritto di essere servito – nel linguaggio parabolico – può sembrare un po’ dura:
«Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?» (Lc 17,9).
In realtà non è del padrone che il Signore ci vuole parlare, bensì di noi chiamati a essere a nostro agio in un atteggiamento sereno di servizio, che non si interessa dell’intemperanza di chi comanda, ma della dedizione con cui si serve l’altro, manifestando così di non ritenersi in nulla il centro del mondo. La sfida è di accettare il proprio ruolo vivendo fino in fondo il compito che la vita ci ha affidato, senza troppe complicazioni. Tutto questo può sembrare duro, talora è anche un po’ ingiusto, eppure è l’unico modo per essere liberi davvero.
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