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Alla lettera, il verbo apodìdōmi (ἀποδίδωμι) andrebbe tradotto con “restituirai” al Signore “quanto gli hai promesso con giuramento”. Con questo significato, il verbo compare nel Vangelo di Matteo 15 volte. Già nell’antichità classica poteva significare anche “compiere i voti fatti).
Il sostantivo ponēròs (πονηρός) nel Vangelo di Matteo ha la più alta occorrenza di tutto il Nuovo Testamento (26 volte, rispetto alle 13 di Luca e alle 2 di Marco). In questo caso, il Maligno esprime una personificazione del male, il male in senso personale. Poiché, tuttavia, il termine può essere sia di genere maschile che neutro, quando è neutro significa “tutto il male”, oppure “cose malvagie”. Nel caso del Padre Nostro, però, poiché al genitivo i due generi coincidono, i Padri della Chiesa si sono divisi sull’interpretazione: “liberaci dal Maligno” oppure “liberaci dal male”.
Commento alla Liturgia
Sabato della X settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
1Re 19,19-21
19Partito di lì, Elia trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. 20Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: "Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò". Elia disse: "Va' e torna, perché sai che cosa ho fatto per te". 21Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 15(16)
R. Tu sei, Signore, mia parte di eredità.
Oppure:
R. Sei tu, Signore, l'unico mio bene.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita. R.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare. R.
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. R.
Vangelo
Mt 5,33-37
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: "Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti". 34Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37Sia invece il vostro parlare: "Sì, sì", "No, no"; il di più viene dal Maligno.
Note
Verso
Continua la nostra lettura annuale del discorso della montagna, che ci dà l’occasione di riascoltare in modo sempre nuovo quello che si può considerare il “pensiero” del Signore Gesù, nel quale i nostri pensieri e le nostre scelte concrete di vita sono chiamati a forgiarsi per assumere la forma del Vangelo. Nella liturgia di oggi il Signore ci aiuta a mettere a fuoco il nostro modo di usare la parola e, soprattutto, ci obbliga a interrogarci sul nostro modo non solo di farne uso ma, soprattutto, sulla coscienza di quanto potente essa sia, con la sua magnifica e temibile capacità di far crescere o rovinare le nostre relazioni umane. Dopo aver evocato il comandamento «Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti», il Signore Gesù prosegue in modo particolarmente radicale:
«Ma io vi dico: non giurate affatto…» (Mt 5,33-34).
Laddove siamo inclini a invocare un’autorità diversa e possibilmente superiore per dare affidabilità e credibilità alla nostra parola, soprattutto quando si impegna in relazione ad altri e li impegna in relazione a noi stessi, il Signore sembra esortarci a non aggrapparci fuori di noi. Il Vangelo ci invita a essere capaci di una parola che, proprio come quella di Dio, quando si impegna non può che richiedere tutto l’impegno di cui siamo capaci e che, nei limiti delle umane possibilità, ci impegna fino in fondo.
A fronte di quelle che possono essere le regole e le strategie di certificazione della nostra verità nella relazione, il Signore Gesù ci rimanda dolcemente e vigorosamente a noi stessi: «Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”» e se non bastasse vi aggiunge una glossa particolarmente pesante, che suona termini perentori quando afferma nientemeno che «il di più viene dal Maligno» (5,37). Il Signore Gesù quando minaccia non ha certo di mira il fatto di spaventarci, ma solo di scuoterci. Per questo, secondo il suo solito, non si accontenta di dare delle istruzioni, ma ci aiuta ad andare al più profondo delle ragioni interiori da cui devono scaturire i nostri comportamenti improntati al duplice criterio di autenticità di libertà e responsabilità. Per questo il Signore rende le cose assai esigenti:
«Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello» (Mt 5,36).
Se così stanno le cose circa il colore dei capelli, figuriamoci per tutto il resto. In questo modo siamo invitati a creare e ricreare continuamente un legame profondo e di rigorosa consequenzialità tra ciò che diciamo attraverso le nostre parole e ciò che siamo realmente disposti a onorare con la concretezza delle nostre azioni.
Nella prima lettura Eliseo, che viene scelto da Elia come suo discepolo e successore nel ministero profetico, sembra proprio corrispondere “ante litteram” a ciò che il Signore Gesù richiede ai suoi discepoli. Infatti, quando Elia «gli gettò addosso il suo mantello» (1Re 19,19) Eliseo reagisce compiendo una serie di gesti che culminano nel fatto che entrò «al suo servizio» (19,21). Le parole che pronunciamo, sia quelle banali che quelle solenni, sia quelle ordinarie che quelle uniche della vita, come le parole con cui prendiamo i nostri più grandi impegni, devono essere sempre capaci di andare «verso» (Mt 5,33) l’altro, fino a essere in grado di creare alleanze affidabili che creino per tutti un di più di vita.
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