Commento alla Liturgia

Giovedì della III settimana di Tempo Ordinario

Prima lettura

Eb 10,19-25

19Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, 20via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, 21e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, 22accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. 23Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso. 24Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. 25Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l'abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore.

Vangelo

Mc 4,21-25

21Diceva loro: "Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? 22Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. 23Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!". 24Diceva loro: "Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. 25Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha".

Commento alla Liturgia

Piena libertà

MichaelDavide Semeraro

La Lettera agli Ebrei ci ricorda con una certa solennità che abbiamo

«piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù... via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne» (Eb 10,19-20).

Da parte sua, il Signore Gesù ci ricorda che questo ingresso libero alla sua stessa vita divina è direttamente proporzionale alla nostra disponibilità a lasciare entrare dentro di noi il seme della parola e la luce fecondante della sua stessa presenza. Questa intima presenza è capace di fare di noi il segno e la testimonianza dell’opera di Dio al cuore della storia. Per questo la domanda del Signore Gesù ci riguarda profondamente e, per molti aspetti, esige da noi una risposta generosa e profondamente coinvolta:

«Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?» (Mc 4,21).

La libertà che il Signore ci dona e ci richiede sembra essere duplice: la libertà di accogliere il dono della sua presenza e la libertà di esporci al rischio della testimonianza.

Perché l’una e l’altra libertà possano realmente darsi nella nostra vita concreta, è necessaria una misura abbondante – anzi sovrabbondante – di autentico ascolto che è la forma primordiale dell’accoglienza della vita che ci viene da fuori e da più lontano di noi stessi:

«Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più» (Mc 4,24).

Non è raro che percepiamo il dovere e le implicanze di un ascolto sincero e generoso quasi come fosse una limitazione della nostra libertà. Al contrario, esso è la via di una sempre più ampia liberazione, che permette una sorta di interiore germinazione della capacità di crescere in apertura, in generosità, in dono. L’invito all’ascolto del Signore Gesù viene ripreso – in un’altra dimensione non meno essenziale – in conclusione della prima lettura:

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24).

Dopo la parabola del seminatore, questa piccola raccolta di consigli che il Signore Gesù offre ai suoi discepoli, ci ricorda che la parola di Dio non è destinata a essere abbandonata nel nostro cuore come in una cantina deserta e dimenticata, ma custodita come un tesoro sulle cui risorse si possa sempre contare e che si può sempre investire. Il nostro rapporto con la parola di Dio è spesso confuso e rischia di smarrirsi nel pendolo tra intellettualismo ed emotività. Invece la Parola di Dio vuole essere per noi una luce che si possa ascoltare e in certo modo continuamente proferire come facciamo con le parole e ben più delle parole. Lasciare deperire questa risorsa nei bassifondi della nostra anima equivarrebbe a farla mentire cominciando col farla marcire. Al contrario, accoglierla significa lasciarla risplendere tanto da far sì che essa illumini non solo noi stessi, ma anche tutto ciò che ci circonda.

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Con la parola parrēsia (παρρησία) si intende il coraggio di parlare apertamente e pubblicamente, di esporsi con chiarezza e con franchezza, senza nascondere nulla di quello che si è o si pensa. Si tratta di un sostantivo che descrive anzitutto la capacità di parlare senza esitazioni e, in seconda battuta, di esporsi con coraggio nelle relazioni con tutte le inevitabili implicazioni. L'aggettivo prosphatos (πρόσφατος) indica qualcosa di “fresco", di nuovo nel senso di “non ancora esistente”, quindi "inedito", mai avvenuto o visto prima. Il cuore sincero a cui si fa riferimento è un cuore alēthinos (ἀληθινός), che potremmo tradurre con «autentico», «genuino», «non nascosto». Non si tratta dunque di una perfezione ideale o di un'integrità morale, ma della sincerità di potersi mostrare per come si è, con le proprie luci e le proprie ombre. Il verbo greco katanoeō (κατανοέω) può essere tradotto come «notiamoci», «capiamoci», «consideriamoci». Il richiamo, dunque, è a un fare attenzione gli uni agli altri mosso dall'amore e da una profonda empatia. Nel testo greco non c'è un verbo, ma un sostantivo: paroxysmos (παροξυσμός). Il suo significato è interessante, perché significa «provocazione», «irritazione», «stato di disagio». Con questo termine, carico di sfumature apparentemente sconvenienti, l'autore descrive gli effetti auspicabili di un'attenzione reciproca all'interno della comunità, in vista di una conversione alle opere di bene.

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