www.nellaparola.it
La preposizione ἀπό (apò) connota il verbo ἀποκαθίστημι (apokathìstemi) nel senso del ritorno a uno stato precedente migliore, il quale viene ripristinato. Secondo la profezia di Malachia (3,19-24), questa restaurazione di una condizione di pace era legata al ritorno del profeta Elia, che Gesù identifica con Giovanni Battista. Tale aspettativa, tuttavia, sembra essere contraddetta, agli orecchi dei discepoli che nel Battista non hanno riconosciuto i segni dei tempi, dall’annuncio di una imminente sofferenza del Messia.
Il verbo συνίημι (sunìemi) esprime una comprensione intelligente, capace di sfidare il consueto modo di pensare. Nel Nuovo Testamento è spesso usato per descrivere la comprensione delle parole di Gesù che segue una precedente incomprensione da parte dei discepoli. Questo versetto ne è un esempio: solo a distanza di molto tempo dalla vicenda di Giovanni Battista, e grazie alle ripetute spiegazioni di Gesù, i discepoli comprendono il collegamento della sua figura con quella del profeta Elia, e riescono finalmente a tenere insieme (σύν) le parole di Gesù con gli eventi di cui sono testimoni.
Commento alla Liturgia
Sabato della II settimana di Avvento
Prima lettura
Sir 48,1-4.9-11
1Allora sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola. 2Egli fece venire su di loro la carestia e con zelo li ridusse a pochi. 3Per la parola del Signore chiuse il cielo e così fece scendere per tre volte il fuoco. 4Come ti rendesti glorioso, Elia, con i tuoi prodigi! E chi può vantarsi di esserti uguale? 9Tu sei stato assunto in un turbine di fuoco, su un carro di cavalli di fuoco; 10tu sei stato designato a rimproverare i tempi futuri, per placare l'ira prima che divampi, per ricondurre il cuore del padre verso il figlio e ristabilire le tribù di Giacobbe. 11Beati coloro che ti hanno visto e si sono addormentati nell'amore, perché è certo che anche noi vivremo*.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 79 (80)
R. Fa' splendere il tuo volto, Signore, e noi saremo salvi.
Tu, pastore d'Israele, ascolta.
Seduto sui cherubini, risplendi.
Risveglia la tua potenza
e vieni a salvarci. R.
Dio degli eserciti, ritorna!
Guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
proteggi quello che la tua destra ha piantato,
il figlio dell'uomo che per te hai reso forte. R.
Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
Da te mai più ci allontaneremo,
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. R.
Vangelo
Mt 17,10-13
10Allora i discepoli gli domandarono: "Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia ?". 11Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. 12Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro". 13Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.
Note
Scendere
La liturgia sembra volerci far concludere la seconda settimana di Avvento in un’atmosfera di tranquillità e di raccoglimento. Gesù e i discepoli scendono dal monte della Trasfigurazione per ritrovare l’ospitalità rassicurante della pianura e delle valli, mentre l’elogio che il Siracide fa al profeta Elia si conclude con una nota di inaspettata speranza:
«Beati coloro che ti hanno visto e si sono addormentati nell’amore» (Sir 48,11).
Se vogliamo terminare l’itinerario di questa seconda settimana di Avvento, per così dire, in discesa e nel riposo, siamo tuttavia costretti a fare bene i conti con la figura di Elia e con il suo valore prefigurativo non solo di «Giovanni il Battista» (Mt 17,13), ma anche della nostra stessa vita, chiamata in questi giorni di preparazione a ritrovare una via per accedere al mistero della Natività del Signore, attraverso le domande necessarie per convertire le profondità del cuore alla sua verità e alla sua bellezza.
L’interrogativo che i discepoli pongono a Gesù, dopo essere stati testimoni della sua grandezza sul monte, rappresenta un buon punto di partenza per la nostra riflessione:
«Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?» (Mt 17,10).
Se vogliamo comprendere la risposta di Gesù, dobbiamo ascoltare con attenzione il modo con cui il Siracide tratteggia la figura del profeta Elìa, paragonandolo a «un fuoco», al punto che «la sua parola bruciava come fiaccola». Andando al di là di un genere letterario, che pone in risalto la straordinarietà degli uomini di Dio e del loro ministero profetico, dobbiamo cogliere nella descrizione di Elìa i lineamenti di una persona talmente abitata dalla «parola del Signore» (Sir 48,3) da essere capace di suscitare grandi cambiamenti nella realtà:
«Egli fece venire su di loro la carestia e con zelo li ridusse a pochi» (Sir 48,2).
Il vigore di questa testimonianza profetica, così appassionata da saper mettere in discussione ogni cosa fino a toccare il livello del rapporto con Dio, si esprime secondo il Siracide in una serie di verbi ascrivibili alle attitudini fondamentali di Giovanni il Battista: «rimproverare», «placare l’ira», «ricondurre», «ristabilire» (48,10). Quando Dio si serve della libertà interiore di qualcuno per rimproverare una generazione, lo fa non tanto per ritoccare i suoi comportamenti più invalsi, ma per toccare la sua mentalità profonda, da cui le abitudini e le azioni scaturiscono.
Le profezie, dunque, prima di essere correzioni, non sono altro che l’invito a uscire da una mentalità individualista per entrare nello spazio di immaginazione di Dio che, invece, ruota sempre attorno alla centralità delle relazioni. Quanto non sia facile lasciarsi rimproverare – e contestare – su questo punto lo dice apertamente il Signore Gesù ai discepoli:
«Sì, verrà Elìa e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elìa è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto» (Mt 17,12).
Se non vogliamo esautorare la profezia del Natale – e non correre il rischio di fare di questo grande mistero ciò che più vogliamo noi – dobbiamo lasciarci raggiungere e toccare da quella sofferenza richiesta a ogni serio processo di conversione:
«Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro» (Mt 17,12).
L’incarnazione del Verbo nella tenda della nostra umanità ci costringe, ogni anno e ogni giorno, a verificare quanto siamo disposti a credere che la vita non si possa più misurare secondo quanto ci è possibile ricevere, ma soprattutto per quanto siamo disposti a donare, nella gioia e nella libertà. Si tratta di comprendere che quell’Elìa che deve venire e che è già venuto siamo in fondo anche noi, ormai partecipi di quel corpo di Cristo in cui scendere – negli inferi – e addormentarsi – nella morte – possono essere vissuti come preludio di una risurrezione in cui è possibile sperare:
«Tu, pastore d’Israele, ascolta. Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci» (Sal 79,2.3).
Cerca nei commenti