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L’offerta di se stessi a Dio è definita in termini cultuali come “sacrificio vivente”, thusia zōsa (dal verbo zaō, ζάω), ossia non una vittima uccisa come erano i sacrifici di animali nel tempio giudaico, ma il sacrificio della persona intera in tutta la sua energia e vitalità.
Il verbo paristēmi (παρίστημι) è proprio del linguaggio sacrificale e designa l’atto di devozione personale. Per Paolo questo atto consiste nell’offerta di se stessi (i vostri corpi).
Letteralmente, il testo fa riferimento alle “misericordie” (oiktirmos, οἰκτιρμός) di Dio, al plurale, per indicare tutte le opere della misericordia divina connesse alla predicazione del vangelo (la giustificazione, la salvezza, la gloria, l’amore) più che un’idea astratta di misericordia.
Questa grande metamorfosi di cui parla Paolo con il verbo metamorphoō (μεταμορφόω) non è una forma esteriore che i credenti in Gesù devono assumere nelle loro pratiche di vita. È piuttosto il completo mutamento interiore del pensiero, della volontà e dei desideri, che i cristiani sono esortati a consentire a Dio di compiere nella loro vita: il verbo è infatti al passivo. Il cambiamento esteriore negli atti e nella condotta è un effetto di questa trasformazione interiore.
Un culto d'amore
Rm 12
Rm 12
1Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. 2Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. 3Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. 4Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, 5così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. 6Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; 7chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all'insegnamento; 8chi esorta si dedichi all'esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. 9La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; 10amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. 11Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. 12Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. 13Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità. 14Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. 15Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. 16Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi. 17Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. 18Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. 19Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo , dice il Signore. 20Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. 21Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene.
Note
Approfondimenti
In tutte le lettere paoline, l’aggettivo logikòs (λογικός) compare solo qui. Ne sono state tentate molte traduzioni. Quella che più sembra accordarsi con l’appello ai credenti in Gesù nel versetto seguente di trasformarsi “rinnovando il modo di pensare” è forse “culto razionale”, nel senso che, per chi ha sperimentato le misericordie di Dio, è del tutto “ragionevole” – sia intellettualmente sua spiritualmente – darsi interamente a Dio.
Paolo si serve di un linguaggio cultuale, nel senso che la vita cristiana è vissuta come culto reso a Dio dal credente.
Inoltre, benché nella LXX l’aggettivo logikòs non è presente, è un termine diffuso e utilizzato da molti filosofi greci (Aristotele, Platone, poi gli stoici), pertanto doveva essere compreso da gentili, giudei e credenti in Gesù di qualunque etnia.
Un culto d'amore
Introduzione
L’invito che Paolo rivolge ai Romani è imbarazzante: invece di offrire atti di culto esteriori, offrite il vostro corpo in un “culto spirituale”. Fate di voi stessi il luogo e il tempo dove la grazia del Signore viene celebrata. Un gesto vitale che chiede una perenne trasformazione. L’inizio del capitolo 12 costringe il lettore a mettersi in moto, a scomodarsi per diventare altro, per uscire dall’individualismo ed entrare in un corpo fatto di tante membra: la Comunità. Concepirsi come parte di un insieme più ampio di cui fanno parte sia gli amici sia i nemici è la prima condizione per essere cristiani e, quindi, per “servire Dio”.
Per leggere e comprendere
Nelle Comunità romane erano spesso le forme di culto religiose che separavano le persone e i gruppi, creando forti danni alla comunione delle stesse. I giudeo-cristiani rivendicavano i loro riti legati alla Legge di Mosè, mentre gli etnico-cristiani facevano fatica a staccarsi dalle suggestioni idolatriche che erano state impresse nelle loro menti sin dall’infanzia e si mostravano deboli verso i sacrifici a quelle divinità che tali - in verità! - non erano. Nel timore di tradire la fedeltà religiosa, tutti restavano attaccati ai propri culti tradizionali creando, così, divisione nelle chiese. Paolo va al cuore della questione, sbaragliando la possibilità di ogni rischio del genere, introducendo un unico, autentico, nuovo tipo di culto: quello offerto con il proprio corpo. Non c’è bisogno di un culto che certifichi la distanza tra Dio e l’uomo e che sia, pertanto, esteriore; con Gesù, che ha fatto del Suo corpo il “sacramento” di unione tra Dio e l’umanità, il culto antico è stato abolito. Il culto cristiano si vive, adesso, nel proprio corpo che è unito a quello del Signore.
“Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? (…) e voi non appartenente a voi stessi?” (1Cor 6,15.19).
Il corpo diventa l’altare della fede: “glorificate Dio nel vostro corpo” dirà ancora Paolo (1Cor 6,20). Una novità abbacinante che ha un paragone nelle parole di Gesù alla Samaritana. Mentre lei chiedeva dove si dovesse adorare Dio - se al tempio di Gerusalemme o sul monte Garizim - Gesù risponde:
“Viene l’ora in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre (…) i veri adoratori adoreranno in spirito e verità” (Gv 4,21.23).
Una rivoluzione radicale e difficilissima da mettere in atto! Paolo spiega cosa significhi il “culto spirituale” in tutto il prosieguo del capitolo che viene a costituire un manuale di etica e di stile cristiano ma, prima ancora, di cultura, teologia, politica e spiritualità cristiana.
Paolo indica ed esorta a costruire la Comunità munendosi degli “strumenti” essenziali: innanzitutto quello di non sopravvalutare sé stessi, in modo da poter vedere oggettivamente che tutto si è ricevuto da Dio e che anche gli altri hanno ricevuto ciascuno la propria parte. Vedere e apprezzare i carismi degli altri è il primo passo per la vita della Chiesa e questo esige di essere umili e di non aspirare a essere i soli e gli unici. La collaborazione è resa possibile dal fatto che ognuno accetti di essere una parte e svolga con competenza e con gioia il proprio ministero, gareggiando nella “stima vicendevole”. A tutto ciò Paolo dà il nome di “amore”, agape fraterna. La Comunità è un poliedro e non una piramide! L’anima della Chiesa deve pulsare di solidarietà, compassione, amore per i poveri, pena per gli afflitti, reazioni di bene contro ogni azione di male. L’unione di tutti nella Chiesa è la vera “armatura” contro i malvagi e i corrotti; essa è matrice di amore per chi è matrice di odio e risponde con la pace a chi attacca con la guerra; fedele al comandamento del Signore: “amerai il tuo nemico” essa obbedisce nell’invito di Paolo: “se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere”. Il corpo che offre un “culto spirituale” deve, dunque, trasformarsi nell’anima… essere attore d’amore verso tutti e abolire, così, l’inimicizia, la vendetta, ogni male.
Per attualizzare
Ascoltando le parole di Paolo non possiamo non vedere noi stessi – come cristiani – allo specchio: ancora non abbiamo capito il suo messaggio! Il “culto spirituale” è fatto di fraternità, di comunione, di amore concreto, vissuto nel corpo e nell’anima. Purtroppo anche i luoghi sacri, i santuari o le basiliche restano, spesso, come marchi di identità religiosa che separano invece di unire. Persino all’interno della confessione cattolica moltissime sono ancor oggi le divisioni, tra i movimenti o tra i Vescovi stessi e tante “personalità” auspicano o minacciano gli scismi. Cosa fare dinanzi alla realtà della divisione intra-ecclesiale nel nostro presente? Come lottare contro chi istiga all’odio contro i nemici? Perché è importante custodire un linguaggio d’amore che abbatta ogni muro? Come costruire la comunione dentro e fuori dalla Chiesa e cosa fare a tale scopo?
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