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Unica occorrenza di questo sostantivo in Marco, πώρωσις (pòrosis) è un termine usato in pochi altri passi del Nuovo Testamento, nelle lettere di Paolo. Il verbo da cui deriva, πωρόω (pòròo), significa “indurirsi, pietrificarsi”, ma con riferimento agli occhi anche “offuscarsi”. Questa doppia sfumatura di “ostinazione” e “cecità” affiora anche qui, a suggerire il motivo per cui il Signore si indigna e si rattrista: vedere intorno a sé dei cuori chiusi nel silenzio, cioè nell’incapacità di vedere che, quando si tratta del bene della vita nella pienezza della sua dignità, ogni giorno è sabato.
Marco usa il verbo θλίβω (tlìbo) solo una volta nel suo Vangelo, in questo versetto, nel senso letterale di “accalcarsi intorno”, “spingere contro”. Ripetuta invece è l’idea della folla che ostacola, non solo con una pressione fisica, ma evocando l’atto di “comprimere come in una strettoia”, e ancor più di “causare oppressione”, come a voler costringere Gesù a esaudire all’istante i bisogni di tutti. Il Signore si lascia avvicinare dai malati e dai sofferenti ma prende le distanze dall’entusiasmo di gruppo, che tende a travisare la sua identità, relegandola a quella di esorcista e taumaturgo.
Che non lo “rendano manifesto”: così suona letteralmente l’espressione φανερὸν ποιήσωσιν (phaneròn poièsosin). L’aggettivo φανερός (phaneròs), che significa “visibile, conosciuto, pubblico”, esprime qui il tentativo degli spiriti impuri di rivelare l’identità di Gesù. L’autorità che egli esercita su questi spiriti consiste nell’imporre loro il silenzio, non perché la sua identità di Messia non possa essere conosciuta. Al contrario, essa non potrà restare nascosta a lungo, e tuttavia non può essere divulgata a suon di prodigi: Marco propone un rigoroso cammino di avvicinamento al Messia, Figlio di Dio.
Letteralmente il verbo παραδίδωμι (paradìdomi) significa “consegnare”, e in altri passi del Nuovo Testamento assume una valenza positiva (per esempio, quando è riferito a Gesù che “consegna” liberamente e volontariamente il suo spirito sulla croce). Ma nel caso di Giuda prevale la connotazione negativa di tradimento, del “consegnare qualcuno nelle mani di altri”. Sorprende poi l’uso del verbo al passato, invece che al futuro come quando si racconta una storia nel suo svolgimento: l’intento di Marco è evocarne in anticipo l’esito finale, già noto, per indurre il lettore a chiedersi se corre il rischio di essere tra gli intimi di Gesù capaci di tradirlo.
Questo nome non è attestato da nessuna parte nella tradizione ebraica. Lo conosciamo solo da questo passo nei Vangeli (anche i paralleli di Mt e Lc lo riportano). Marco non lo traduce ma fa comprendere che va considerato “il principe dei demoni”. In questo contesto, uno dei significati possibili è quello di “padrone (ba’al) della casa” (cf. v.27). È significativo che il narratore segnali qui il modo di parlare di Gesù “in parabole” (ἐν παραβολαῖς). È come per avvertire il lettore “Leggete bene! Fate attenzione!”, perché il Gesù di Marco dice le cose più importanti in modo velato, con immagini o massime, per introdurre gradualmente il destinatario nella profondità destinata a coloro che entrano nell’intimità del Maestro. La congiunzione μήποτε (mèpote) sembra sigillare una promessa di fallimento del parlare in parabole di Gesù, e contraddire quanto egli ha dichiarato fin dall’inizio del Vangelo sulla conversione e sul perdono dei peccati come le ragioni della sua immersione nell’umanità. Si può cogliere qui l’uso del “paradosso” da parte di Marco: nel fallimento vi è la promessa di accedere a un livello più profondo, l’annuncio dell’irriducibile speranza che la conversione e la misericordia saranno precluse solo “finché” perdureranno l’accecamento dei sensi e l’indurimento del cuore, paradossali strumenti con cui Dio vuole condurre il discepolo a riconoscere la buona notizia in Gesù crocifisso e risorto. Secondo una possibile, suggestiva traduzione dell’aggettivo πρόσκαιρος (pròskairos), gli incostanti sono gli “uomini di un momento”. Come tutto ciò che è temporaneo, transitorio, qui Marco evoca una condizione che ha a che fare non tanto con una mancata profondità, quanto con una insufficiente stabilità interiore, senza cui la Parola di Dio non può attecchire né può reggere l’urto della vita. Il termine drepanon (δρέπανον) ricorre 7 volte nel NT, di cui solo una in Mc e le altre in Ap 14,14-19, dove il riferimento biblico è Gl 4,13-14:in entrambi i casi, il contesto evoca il momento in cui sarà resa giustizia agli oppressi. Il riferimento alle scritture profetiche, quindi, conferisce a questa frase una evidente dimensione escatologica: Gesù esprime la sua fede e la sua speranza che Dio condurrà a buon fine ciò che ha cominciato a realizzare attraverso di lui. Nella concezione e nel tempo di Marco, questo significa che tutte le tappe della storia della salvezza sono inscritte nel disegno di Dio. L’immagine degli uccelli, ripresa da Dn 4, Ez 17 e 19, Sal 103(104), evoca risonanze escatologiche ma anche riferimenti alla creazione. La prospettiva di Marco è che la storia sia tesa verso il ricongiungimento del mondo di Dio con il mondo degli umani: questo movimento degli uccelli che finalmente “possono” ripararsi all’ombra di questo grande albero, nato da un seme piccolissimo, è il pensiero audace del Maestro. Si tratta di una formula solenne (elalei autois ton logon, ἐλάλει αὐτοῖς τὸν λόγον) con cui Marco esprime l’essenziale: dicendo la Parola, Gesù proclama la venuta del Regno di Dio nella storia (cf. 2,2). Le parabole sono al servizio di questa fondamentale comunicazione.
In questo caso, il verbo dunamai (δύναμαι) non esprime la sfumatura della “capacità” di fare qualcosa, ma quella della “responsabilità”, nel senso che la possibilità di ascoltare dipende dalla disponibilità ad accogliere la parola della fede. Troviamo il verbo dunamai con la stessa sfumatura di significato, per esempio, in Gv 6,60: “Questa parola è dura. Chi può ascoltarla?". L’espressione “eis to peran” (εἰς τὸ πέραν) evoca scenari diversi e suggestivi: anzitutto la riva pagana del lago di Tiberiade, dove Gesù si dirige dopo il parziale fallimento della predicazione in Galilea, tra una folla osannante e scettiche autorità religiose. Ma per la Bibbia lasciare la terra santa è motivo di riprovazione (cf. l’inizio del racconto di Rut): se Gesù lo fa, e a più riprese in Marco, è per la presenza di una crisi profonda oppure per una vera missione. Infine, in molti testi orientali buddisti, l’altra riva indica la grande coscienza, in cui si integrano e si oltrepassano tutti i particolarismi. Una sfida, dunque, quella di Gesù. Letteralmente, l’espressione suona “deilòi este” (δειλοί ἐστε): siete paurosi, o meglio timidi, codardi. L’aggettivo deilòs (δειλός) indica la mancanza di forza mentale o morale, quella timidezza tipicamente associata alla paura. Ritroviamo lo stesso termine in 2Tm 1,7 per descrivere lo “spirito di timidezza” che non viene da Dio. In questo versetto, Marco tematizza per la prima volta nel suo vangelo l’antitesi tra paura e fede.
Questo nome non è attestato da nessuna parte nella tradizione ebraica. Lo conosciamo solo da questo passo nei Vangeli (anche i paralleli di Mt e Lc lo riportano). Marco non lo traduce ma fa comprendere che va considerato “il principe dei demoni”. In questo contesto, uno dei significati possibili è quello di “padrone (ba’al) della casa” (cf. v.27). È significativo che il narratore segnali qui il modo di parlare di Gesù “in parabole” (ἐν παραβολαῖς). È come per avvertire il lettore “Leggete bene! Fate attenzione!”, perché il Gesù di Marco dice le cose più importanti in modo velato, con immagini o massime, per introdurre gradualmente il destinatario nella profondità destinata a coloro che entrano nell’intimità del Maestro. La congiunzione μήποτε (mèpote) sembra sigillare una promessa di fallimento del parlare in parabole di Gesù, e contraddire quanto egli ha dichiarato fin dall’inizio del Vangelo sulla conversione e sul perdono dei peccati come le ragioni della sua immersione nell’umanità. Si può cogliere qui l’uso del “paradosso” da parte di Marco: nel fallimento vi è la promessa di accedere a un livello più profondo, l’annuncio dell’irriducibile speranza che la conversione e la misericordia saranno precluse solo “finché” perdureranno l’accecamento dei sensi e l’indurimento del cuore, paradossali strumenti con cui Dio vuole condurre il discepolo a riconoscere la buona notizia in Gesù crocifisso e risorto. Secondo una possibile, suggestiva traduzione dell’aggettivo πρόσκαιρος (pròskairos), gli incostanti sono gli “uomini di un momento”. Come tutto ciò che è temporaneo, transitorio, qui Marco evoca una condizione che ha a che fare non tanto con una mancata profondità, quanto con una insufficiente stabilità interiore, senza cui la Parola di Dio non può attecchire né può reggere l’urto della vita. Il termine drepanon (δρέπανον) ricorre 7 volte nel NT, di cui solo una in Mc e le altre in Ap 14,14-19, dove il riferimento biblico è Gl 4,13-14:in entrambi i casi, il contesto evoca il momento in cui sarà resa giustizia agli oppressi. Il riferimento alle scritture profetiche, quindi, conferisce a questa frase una evidente dimensione escatologica: Gesù esprime la sua fede e la sua speranza che Dio condurrà a buon fine ciò che ha cominciato a realizzare attraverso di lui. Nella concezione e nel tempo di Marco, questo significa che tutte le tappe della storia della salvezza sono inscritte nel disegno di Dio. L’immagine degli uccelli, ripresa da Dn 4, Ez 17 e 19, Sal 103(104), evoca risonanze escatologiche ma anche riferimenti alla creazione. La prospettiva di Marco è che la storia sia tesa verso il ricongiungimento del mondo di Dio con il mondo degli umani: questo movimento degli uccelli che finalmente “possono” ripararsi all’ombra di questo grande albero, nato da un seme piccolissimo, è il pensiero audace del Maestro. Si tratta di una formula solenne (elalei autois ton logon, ἐλάλει αὐτοῖς τὸν λόγον) con cui Marco esprime l’essenziale: dicendo la Parola, Gesù proclama la venuta del Regno di Dio nella storia (cf. 2,2). Le parabole sono al servizio di questa fondamentale comunicazione.
In questo caso, il verbo dunamai (δύναμαι) non esprime la sfumatura della “capacità” di fare qualcosa, ma quella della “responsabilità”, nel senso che la possibilità di ascoltare dipende dalla disponibilità ad accogliere la parola della fede. Troviamo il verbo dunamai con la stessa sfumatura di significato, per esempio, in Gv 6,60: “Questa parola è dura. Chi può ascoltarla?". L’espressione “eis to peran” (εἰς τὸ πέραν) evoca scenari diversi e suggestivi: anzitutto la riva pagana del lago di Tiberiade, dove Gesù si dirige dopo il parziale fallimento della predicazione in Galilea, tra una folla osannante e scettiche autorità religiose. Ma per la Bibbia lasciare la terra santa è motivo di riprovazione (cf. l’inizio del racconto di Rut): se Gesù lo fa, e a più riprese in Marco, è per la presenza di una crisi profonda oppure per una vera missione. Infine, in molti testi orientali buddisti, l’altra riva indica la grande coscienza, in cui si integrano e si oltrepassano tutti i particolarismi. Una sfida, dunque, quella di Gesù. Letteralmente, l’espressione suona “deilòi este” (δειλοί ἐστε): siete paurosi, o meglio timidi, codardi. L’aggettivo deilòs (δειλός) indica la mancanza di forza mentale o morale, quella timidezza tipicamente associata alla paura. Ritroviamo lo stesso termine in 2Tm 1,7 per descrivere lo “spirito di timidezza” che non viene da Dio. In questo versetto, Marco tematizza per la prima volta nel suo vangelo l’antitesi tra paura e fede.
Meditazione su Mc 3-4 (2/2)
Mc 3-4
Mc 3-4
1Entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, 2e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo. 3Egli disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: "Àlzati, vieni qui in mezzo!". 4Poi domandò loro: "È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?". Ma essi tacevano. 5E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all'uomo: "Tendi la mano!". Egli la tese e la sua mano fu guarita. 6E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. 7Gesù, intanto, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea 8e da Gerusalemme, dall'Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. 9Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. 11Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: "Tu sei il Figlio di Dio!". 12Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse. 13Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. 14Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare 15con il potere di scacciare i demòni. 16Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, 17poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè "figli del tuono"; 18e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo 19e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì. 20Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. 21Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: "È fuori di sé". 22Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: "Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni". 23Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: "Come può Satana scacciare Satana? 24Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; 25se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. 26Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. 27Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa. 28In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; 29ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna". 30Poiché dicevano: "È posseduto da uno spirito impuro". 31Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. 32Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: "Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano". 33Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?". 34Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! 35Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre". 1Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. 2Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3"Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un'altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno". 9E diceva: "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!". 10Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. 11Ed egli diceva loro: "A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, 12affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato ". 13E disse loro: "Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? 14Il seminatore semina la Parola. 15Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l'ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. 16Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l'accolgono con gioia, 17ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. 18Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, 19ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. 20Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l'accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno". 21Diceva loro: "Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? 22Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. 23Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!". 24Diceva loro: "Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. 25Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha". 26Diceva: "Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura". 30Diceva: "A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra". 33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. 35In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: "Passiamo all'altra riva". 36E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che siamo perduti?". 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: "Taci, calmati!". Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: "Perché avete paura? Non avete ancora fede?". 41E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?".
Note
Approfondimenti
Il verbo existēmi (ἐξίστημι) indica un eccesso, una perdita della ragione: “non si possiede più, è pazzo” (cf. 2,12). Né Matteo né Luca lo hanno confermato. Poichè Marco lo riferisce, vuol dire che lo ha sentito; dunque, siamo davanti a qualcosa che la comunità cristiana non ha potuto inventare.
Anche di Giovanni battista si afferma che fosse pazzo o indemoniato (Lc 7,33), e ancora di Gesù nel Quarto Vangelo (Gv 10,20). Lo stesso Paolo è definito tale (St 26,24; 2Cor 5,13). L’uomo di Dio è considerato pazzo anche nell’Antico Testamento (Os 9,7; Sap 5,4).
Per Marco, chi cammina al seguito di Gesù si espone a essere maltrattato e perseguitato dalla famiglia, dai “teologi” e dalle persone del proprio ambiente. Ma l’uomo spirituale non può essere veramente fermato.
Meditazione su Mc 3-4 (2/2)
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