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Questo racconto paolino dell’istituzione dell’eucaristia è il più antico del NT. Venti anni dopo viene messo per iscritto da Luca nel suo Vangelo.
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce. La menzione del luogo deserto (en erēmō topō, ἐν ἐρήμῳ τόπῳ) ricorda a Israele l’origine della sua degenerazione e del suo rifugiarsi in Dio. Nel deserto come luogo di passaggio, Dio ha preso sul serio la fame del suo popolo, rispondendo con un dono “celeste” che ha procurato beni “terreni”, come la manna e le quaglie. Anche Gesù nel deserto, come un nuovo Mosè, pone fine alla fame del popolo e dà compimento alla fede biblica nel Dio che salva il popolo dal bisogno. Il termine àrtos (ἄρτος) è ricco di richiami, in particolare al pane quotidiano del Padre Nostro e alle pietre che, nel racconto delle tentazioni, Gesù si rifiuta di trasformare in pane. Inoltre, in linea con la tradizione profetica secondo cui Dio è il signore delle carestie come dell’abbondanza e nutre il popolo affamato, questo pane è un cibo materiale ma la sua origine in ultima analisi è divina: così anche il pane è nutrimento spirituale, come la parola di Dio. Il verbo paratìthēmi (παρατίθημι) significa letteralmente “mettere davanti a, presentare, servire”, ed è un verbo tipico per il servizio a tavola. Letteralmente, il verbo perissèuō (περισσεύω) significa “abbondare”. In Luca ricorre solo 4 volte e ogni volta questa abbondanza di Dio si distingue da ogni abbondanza terrena.
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce. La menzione del luogo deserto (en erēmō topō, ἐν ἐρήμῳ τόπῳ) ricorda a Israele l’origine della sua degenerazione e del suo rifugiarsi in Dio. Nel deserto come luogo di passaggio, Dio ha preso sul serio la fame del suo popolo, rispondendo con un dono “celeste” che ha procurato beni “terreni”, come la manna e le quaglie. Anche Gesù nel deserto, come un nuovo Mosè, pone fine alla fame del popolo e dà compimento alla fede biblica nel Dio che salva il popolo dal bisogno. Il termine àrtos (ἄρτος) è ricco di richiami, in particolare al pane quotidiano del Padre Nostro e alle pietre che, nel racconto delle tentazioni, Gesù si rifiuta di trasformare in pane. Inoltre, in linea con la tradizione profetica secondo cui Dio è il signore delle carestie come dell’abbondanza e nutre il popolo affamato, questo pane è un cibo materiale ma la sua origine in ultima analisi è divina: così anche il pane è nutrimento spirituale, come la parola di Dio. Il verbo paratìthēmi (παρατίθημι) significa letteralmente “mettere davanti a, presentare, servire”, ed è un verbo tipico per il servizio a tavola. Letteralmente, il verbo perissèuō (περισσεύω) significa “abbondare”. In Luca ricorre solo 4 volte e ogni volta questa abbondanza di Dio si distingue da ogni abbondanza terrena.
Commento alla Liturgia
Ss. Corpo e Sangue di Cristo
Prima lettura
Gen 14,18-20
18Intanto Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo 19e benedisse Abram con queste parole: "Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, 20e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici". Ed egli diede a lui la decima di tutto.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 109 (110)
R. Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi». R.
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici! R.
A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato. R.
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek». R.
Seconda Lettura
1Cor 11,23-26
23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Vangelo
Lc 9,11b-17
11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta". 13Gesù disse loro: "Voi stessi date loro da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". 14C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: "Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa". 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Note
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce.
Approfondimenti
Questo racconto paolino dell’istituzione dell’eucaristia è il più antico del NT. Venti anni dopo viene messo per iscritto da Luca nel suo Vangelo.
Paolo attinge probabilmente alla tradizione della comunità cristiana di Antiochia, in cui aveva vissuto per un anno dopo l’incontro con il Signore risorto. Paolo “trasmette” (paradidōmi, παραδίδωμι) l’intenzione di Gesù di portare a compimento la promessa fatta da Dio di un’alleanza nuova con il popolo di Israele.
Non menziona né la Pasqua né Giuda, forse per evocare che l’atto di “tradire” o “consegnare” (paradidōmi, παραδίδωμι) Gesù sia stato assunto liberamente da Cristo stesso: con i gesti eucaristici, Gesù anticipa la propria auto-consegna sulla croce.
Soluzione
Sembra quasi un problema di aritmetica: la fame di ben cinquemila persone può dipendere da non più di «cinque pani e due pesci» (Lc 9,13) posti nelle mani di dodici uomini: gli amici e i discepoli di Gesù. Come loro siamo chiamati a farci ministri di una così impensabile sovrabbondanza di cibo che, alla fine, ce n’è ben più di quanto se ne avesse avuto bisogno. La più grande conversione sembra essere proprio quella richiesta dal Signore Gesù ai suoi discepoli, una conversione a cui continuamente la Chiesa è richiamata. Gli apostoli offrono la loro soluzione: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo» (9,12). Da parte sua, il Signore Gesù offre un’altra soluzione:
«Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13).
Bisogna riconoscere che la situazione non è facile e non meraviglia affatto che ci si senta, come i discepoli, bloccati davanti a un bisogno tanto urgente da interpellarci in prima persona e con la chiara coscienza di non avere i mezzi per rispondervi. La Liturgia ci ricorda quest’oggi che, quando un problema è insolubile, la soluzione è allora quella di uscire dalla nostra logica umana per entrare in quella del Signore Gesù di cui facciamo non solo memoria, ma di cui facciamo apprendistato ogni volta che celebriamo l’Eucaristia.
Meditando il gesto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, forse ci viene da pensare, come facevamo da bambini, che non c’è nulla di più semplice per il Signore Gesù che fare delle magie. Se questo può essere bello, lo è nella misura in cui la “magia” ci porta a imparare che il pane donato non è il risultato di un incantesimo e non viene fuori dal cappello magico, ma è il frutto di quella preghiera del Signore capace di dare un modo nuovo di vedere e affrontare la realtà. Così – e solo così - il poco che ci spaventa diventa quel poco che ci permette di fare grandi cose: la penuria si trasforma in sovrabbondanza! Nell’Eucaristia riceviamo il pane del cielo che pure non smette di essere pane germinato sulla nostra terra e vino maturato nelle nostre cantine, come ricordiamo sempre al momento dell’offertorio. Eppure, il pane che riceviamo è un pane che nutre noi ed è in grado di nutrire più che noi… nutre e rafforza il Corpo di Cristo che è la Chiesa. L’Eucaristia non è un rito riservato a dei privilegiati o esclusivamente conservato per l’ultimo rimasuglio di “puri”, ma il banchetto che ricorda e rinnova l’invito, offerto a tutti, di sedersi alla tavola imbandita da Dio per tutti (cfr. Is 25).
La nostra assemblea, raccolta attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia, è ben più di se stessa e mai rappresenta solo se stessa; essa è la primizia dell’umanità attesa e perennemente invitata al banchetto di nozze dell’Agnello. Per questo non siamo mai né troppo pochi, né così pochi: portiamo all’altare i cinque pani e i due pesci che siamo e riceviamo da Cristo, risorto e vivente, un’eccedenza misteriosa capace di nutrire, con sovrabbondanza, la fame e la sete di tutti. Mentre celebriamo il Corpus Domini - e forse osiamo ancora camminare attraverso le strade delle nostre città e villaggi, preceduti e accompagnati dall’Eucaristia, non ci poniamo di fronte, ma dentro e al cuore del nostro mondo, per il quale Cristo non esita, ancora oggi, a fare di noi il segno della sua presenza: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). Noi tutti siamo ministri del dono che riceviamo dal Signore Gesù, che ci invia a tutti gli uomini e donne affamati di verità. Comunicare al corpo e al sangue di Cristo non è un affare privato e intimo: l’azione di grazia compiuta sta a significare che noi prendiamo parte alla missione stessa del Salvatore che serve tutti senza mai servirsi di nessuno, né asservire alcuno. L’evangelista Luca ci lascia nel dubbio circa il fatto che il Signore stesso abbia mangiato o meno. È un modo sottile per ricordarci che la cosa più importante non è avere qualcosa da mangiare, ma prima di tutto qualcosa da condividere, fino a essere capaci di non assaggiarne, per placare non solo la fame, ma persino il piacere dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in umanità. Quella del Corpus Domini è una festa così cristiana proprio perché così squisitamente e basicamente umana. Essa ci offre, infatti, una splendida soluzione per essere più umani.
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