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Letteralmente, il testo greco dice che la Scrittura si compie “nei vostri orecchi”. Mentre gli occhi di tutti sono fissi su di lui, Gesù si rivolge al loro udito, cioè alla capacità di intendere, di capire. La parola non si compie per chi semplicemente ascolta, ma più profondamente per chi si coinvolge in prima persona nell’ascolto.
Commento alla Liturgia
10 Gennaio
Prima lettura
1Gv 4,19–5,4
19Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. 20Se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. 21E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello. 1Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. 2In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. 3In questo infatti consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi. 4Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 71(72)
R. Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
Oppure:
R. Benedetto il Signore che regna nella pace.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto. R.
Li riscatti dalla violenza e dal sopruso,
sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue.
Si preghi sempre per lui,
sia benedetto ogni giorno. R.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato. R.
Vangelo
Lc 4,14-22a
14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. 16Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l'anno di grazia del Signore. 20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato". 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?".
Note
Sopra
Volendo trarre tutte le conseguenze dal mistero dell’Incarnazione, l’apostolo Giovanni sembra non riuscire a trattenere una particolare gioia alla fine della sua indimenticabile lettera. La esprime in termini che siamo soliti utilizzare nel linguaggio sportivo, o in quello politico e militare. Raramente nell’ambito della fede.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede (1Gv 5,4).
Il Natale del Signore nella nostra carne umana non è stato esercizio di stile o di virtù, affinché noi avessimo l’ultimo — insuperabile — parametro di perfezione con cui misurarci. Il Verbo si è lasciato “concepire” dal grembo della Vergine perché noi potessimo accedere a una nuova generazione, non vincolata dalla carne e del sangue, ma dal desiderio e dal disegno di Dio. Per quanto questo ci sia noto, dimentichiamo di considerarlo in termini di vittoria. Contro un mondo — o meglio un modo di pensare — dove l’amore è considerato vetta irraggiungibile, meta sempre distante.
Carissimi, noi amiamo Dio perché egli ci ha amati per primo (4,19).
La nostra fede nel mistero del Natale non è una vittoria perché rappresenta la più corretta espressione teologica della rivelazione di Dio. Non si sta dalla parte dei vincitori in quanto detentori di un sapere, ma perché partecipi di una natura nuova e divina. Credere che il bimbo di Betlemme sia il vero segno di luce che manca vuol dire vincere la più terribile battaglia contro le tenebre di questo mondo: quelle che vogliono farci credere di non poter avere l’iniziativa della risposta. Quella positività che il Signore Gesù sembra assumere invece con tanta disinvoltura nella sinagoga di Nazaret.
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18).
Le prime parole pronunciate da Gesù per vincere e amare il mondo dichiarano quello che dobbiamo credere, cioè vivere. Sopra di noi non c’è il nulla, né il caos, né l’affanno di un cielo troppo impegnato a far tutti contenti. C’è uno Spirito, eterno, immutabile, invincibile. È l’amore di un Dio contento di poter fare il primo passo. E di insegnare anche a noi a farlo. Senza più dover attendere un’occasione diversa da quella che oggi abbiamo. E siamo.
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