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Questa espressione approfondisce la prospettiva escatologica, introdotta dalla citazione della “ricompensa” al v. 41, che invoca una crescita del discepolo nella vita dello Spirito. Il passaggio dalla “vita” al “regno di Dio” al v. 47 conferma che entrare in questo regno non significa accedere a uno spazio geografico, ma entrare nella vita eterna, quella che Dio dona: la vita nello Spirito, la vita dei figli, la vita dei piccoli che hanno fiducia in Dio.
Questa espressione approfondisce la prospettiva escatologica, introdotta dalla citazione della “ricompensa” al v. 41, che invoca una crescita del discepolo nella vita dello Spirito. Il passaggio dalla “vita” al “regno di Dio” al v. 47 conferma che entrare in questo regno non significa accedere a uno spazio geografico, ma entrare nella vita eterna, quella che Dio dona: la vita nello Spirito, la vita dei figli, la vita dei piccoli che hanno fiducia in Dio.
Commento alla Liturgia
Giovedì della VII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Sir 5,1-10
1Non confidare nelle tue ricchezze e non dire: "Basto a me stesso". 2Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando le passioni del tuo cuore. 3Non dire: "Chi mi dominerà?"*, perché il Signore senza dubbio farà giustizia. 4Non dire: "Ho peccato, e che cosa mi è successo?", perché il Signore è paziente. 5Non essere troppo sicuro del perdono tanto da aggiungere peccato a peccato. 6Non dire: "La sua compassione è grande; mi perdonerà i molti peccati", perché presso di lui c'è misericordia e ira, e il suo sdegno si riverserà sui peccatori. 7Non aspettare a convertirti al Signore e non rimandare di giorno in giorno, perché improvvisa scoppierà l'ira del Signore e al tempo del castigo sarai annientato. 8Non confidare in ricchezze ingiuste: non ti gioveranno nel giorno della sventura. 9Non ventilare il grano a ogni vento e non camminare su qualsiasi sentiero: così fa il peccatore che è bugiardo. 10Sii costante nelle tue convinzioni*, [e una sola sia la tua parola.]
Salmo Responsoriale
Dal Sal 1
R. Beato l’uomo che confida nel Signore.
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte. R.
È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene. R.
Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina. R.
Vangelo
Mc 9,41-50
41Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. 42Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. 43Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. [ 44] 45E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. [ 46] 47E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, 48dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. 49Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. 50Buona cosa è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".
Note
Approfondimenti
La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
Istinto
Una cosa che impariamo ben presto sia sulla nostra pelle, che nelle prime lezioni che ci addestrano ad abitare il mondo è l’importanza fondamentale del più primordiale degli istinti, che è quello della sopravvivenza. Eppure il Siracide ci esorta vivamente:
«Non seguire il tuo istinto e la tua forza, assecondando le passioni del tuo cuore» (Sir 5,2).
Secondo Ben Sirach ciò che rischia di renderci succubi del nostro istinto di sopravvivenza, impedendoci di dare spazio la desiderio di una vita piena, sono due illusioni sempre in agguato. La prima è la stupida quanto infondata pretesa di poter dire: «Basto a me stesso» (5,1)! La seconda è l’altrettanto inammissibile immaginazione di poter dire: «Chi mi dominerà?» (5, 3). Questo modo di pensare non può portare lontano perché, in realtà, separa la nostra vita e il nostro cuore da quel legame con la fonte della vita senza il quale non possiamo che intristire o perdere il meglio della nostra umanità. Per questo ci viene ricordato che non dobbiamo mai abusare nemmeno della «compassione» divina, nella consapevolezza che «presso di lui c’è misericordia e ira» (5,6).
Il Signore Gesù radicalizza ulteriormente le esortazioni del Siracide mettendo in crisi in modo ancora più forte l’istinto di conservazione che ci portiamo dentro come un salvavita e arriva a dire ciò che sembra esattamente il contrario:
«Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala… E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo… E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via…» (Mc 9,43.45.47).
All’istinto di sopravvivenza e al bisogno di conservazione di se stessi, il Signore Gesù ci chiede di sostituire il desiderio di essere in grado di prenderci cura degli altri e, in modo particolare, di quei «piccoli che credono in me» (9,42). Dicendo questo non bisogna pensare tanto alla fede in termini dogmatici, ma alla fiducia che i poveri e i piccoli non possono che riporre in Dio, non potendo in alcun modo presumere di bastare a se stessi, costretti come sono ogni giorno a fare i conti con la loro assoluta vulnerabilità. Come ricorda il cardinale Walter Kasper: «Davanti a Dio, nostro Padre celeste, noi tutti siamo e rimaniamo dei piccoli. Per questo è l’infanzia che è determinante per l’esistenza adulta, e non l’inverso. I piccoli sanno che non possono fare tutto da soli e che la vita è un dono. Ciò che vuol dire Gesù quando afferma che bisogna diventare come i bambini è la necessità di fare l’esperienza di come ogni cosa è un dono».
Il Vangelo ci esorta ancora una volta ad assumere come guida della nostra vita e delle nostre scelte non l’istinto di autoconservazione, ma il desiderio di crescere e di sperare insieme a tutti e sempre a partire dagli ultimi. Questa visuale ci permette di capire meglio il detto del Signore che conclude la lettura del Vangelo: «Ognuno infatti sarà salato con il fuoco. Buona cosa il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore?» cui segue una conclusione che richiede tutta la nostra attenzione:
«Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9,49-50).
Per gli antichi il sale era necessario non solo a insaporire, ma, soprattutto, a conservare le derrate. Il Signore Gesù ci ricorda che ciò per cui dobbiamo spenderci è la conservazione della «pace» tra noi, che significa la cura della vita di tutti perché ci sia gioia per tutti.
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