La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
Commento alla Liturgia
Mercoledì della VII settimana di Tempo Ordinario
Prima lettura
Sir 4,12-22
12Chi ama la sapienza ama la vita, chi la cerca di buon mattino sarà ricolmo di gioia. 13Chi la possiede erediterà la gloria; dovunque vada, il Signore lo benedirà. 14Chi la venera rende culto a Dio, che è il Santo, e il Signore ama coloro che la amano. 15Chi l'ascolta giudicherà le nazioni, chi le presta attenzione vivrà tranquillo. 16Chi confida in lei l'avrà in eredità, i suoi discendenti ne conserveranno il possesso. 17Dapprima lo condurrà per vie tortuose*, gli incuterà timore e paura, lo tormenterà con la sua disciplina, finché possa fidarsi di lui e lo abbia provato con i suoi decreti; 18ma poi lo ricondurrà su una via diritta e lo allieterà, gli manifesterà i propri segreti*. 19Se invece egli batte una falsa strada, lo lascerà andare e lo consegnerà alla sua rovina. 20Tieni conto del momento e guàrdati dal male, e non avere vergogna di te stesso. 21C'è una vergogna che porta al peccato e c'è una vergogna che porta gloria e grazia. 22Non usare riguardi a tuo danno* e non arrossire a tua rovina.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 118(119)
R. Grande pace per chi ama la tua legge.
Grande pace per chi ama la tua legge:
nel suo cammino non trova inciampo.
Osservo i tuoi precetti e i tuoi insegnamenti:
davanti a te sono tutte le mie vie. R.
Sgorghi dalle mie labbra la tua lode,
perché mi insegni i tuoi decreti.
La mia lingua canti la tua promessa,
perché tutti i tuoi comandi sono giustizia. R.
Desidero la tua salvezza, Signore,
e la tua legge è la mia delizia.
Che io possa vivere e darti lode:
mi aiutino i tuoi giudizi. R.
Vangelo
Mc 9,38-40
38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva". 39Ma Gesù disse: "Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: 40chi non è contro di noi è per noi.
Approfondimenti
La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
La fiducia nella forza del nome è molto antica nelle religioni e Israele la associa al nome di Dio. In questa pericope di Marco ne troviamo tre occorrenze ravvicinate con l’espressione “nel nome di” riferita a Gesù in qualità di Maestro e di Cristo.
Si possono notare due diverse sfumature: strumentale nei v. 38.41 con la preposizione “in” (en tō onòmati, ἐν τῷ ὀνόματί), di fondamento su cui ci si basa nel v. 39 con la preposizione “su” (epì tō onòmati, ἐπὶ τῷ ὀνόματί).
Il tema sottostante è la relazione fra confessione cristologica (“nel nome di Cristo”) e appartenenza ecclesiale: il Gesù di Marco mostra una fiducia nel Nome come forza che opera il bene al di là della comunità. Letteralmente, al v. 41 si legge “nel nome del fatto che voi siete di Cristo”, “a titolo di” discepoli del Messia, a conferma che il criterio dell’appartenenza non è ecclesiologico ma cristologico.
Sapienza
Al discepolo può talvolta sembrare di scorgere impedimenti nella realtà che lo circonda: situazioni o avvenimenti che ai suoi occhi non rendono il doveroso «culto a Dio» (Sir 4,15), né tantomeno possono dargli la «gloria» (4,14) che gli spetta. Non di rado questo giudizio negativo prende corpo e voce proprio nel gruppo a cui si appartiene, e viene presentato al Signore con estrema fierezza.
«Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva» (Mc 9,38).
Ma la forma delle parole con cui Giovanni si rivolge a Gesù tradisce una certa ambiguità. Se da un lato sembra evidente la preoccupazione che il nome del Signore non venga manipolato o, peggio ancora, disonorato, dall’altro appare altrettanto chiaro che il motivo della condanna sia il fatto che non ci sia un vantaggio e un riconoscimento per il «noi» di cui ci si sente parte. In questa trappola noi discepoli cadiamo spesso. Pensando di tutelare l’immagine di Dio, siamo dispiaciuti del fatto che molte cose buone non seguano la scia dei nostri passi. E ci adiriamo nel constatare che altri, altrove, riescono a fare — magari meglio — ciò che noi non riusciamo ancora a compiere, oppure — in fondo al cuore — temiamo di affrontare. Così ci rivolgiamo al Signore con imperativi solo apparenti, che dentro di noi risuonano già come la ricerca di una conferma che sentiamo di non avere. Piuttosto perentoria è infatti la replica di Gesù alla tronfia battuta del discepolo Giovanni.
«Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,39-40).
Questo giudizio sulla realtà che il Signore Gesù riesce ad avere lascia intravvedere uno spirito assai diverso, per nulla preoccupato di conteggiare il proprio seguito o di avere il controllo su tutto e su tutti. Il Signore «ama la vita» (Sir 4,13) e «ama coloro che la amano» (4,15) e sa che «chi la possiede erediterà la gloria; dovunque vada» (4,14) sarà benedetto. Questo spirito buono, profondamente tollerante e inclusivo, è chiamato dalla Scrittura «sapienza» (4,13). Il discepolo non può mai presumere di possederla o di poterne disporre. Deve ricordarsi di cercarla «di buon mattino» (4,13), con umile e paziente fedeltà. E non dimenticarsi che la sapienza educa il discepolo con un’esigente pedagogia:
«dapprima lo condurrà per vie tortuose, lo scruterà attentamente, gli incuterà timore e paura, lo tormenterà con la sua disciplina, finché possa fidarsi di lui» (Mc 4,18-19).
Poi — soltanto dopo — «lo allieterà» (4,20) e il suo cuore sarà «ricolmo di gioia» (4,13), quell’allegria di chi ha imparato a vedere il bene anche, e soprattutto, fuori dall’orizzonte di sé e di ciò che conosce. Quell’allegria propria di chi cammina portando nel cuore una «grande pace» (Sal 118, 165).
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