Liturgia del giorno

Santa Teresa di Gesù Bambino

Prima lettura

Ne 2,1-8

1Nel mese di Nisan dell'anno ventesimo del re Artaserse, appena il vino fu pronto davanti al re, io presi il vino e glielo diedi. Non ero mai stato triste davanti a lui. 2Ma il re mi disse: "Perché hai l'aspetto triste? Eppure non sei malato; non può essere altro che un'afflizione del cuore". Allora io ebbi grande timore 3e dissi al re: "Viva il re per sempre! Come potrebbe il mio aspetto non essere triste, quando la città dove sono i sepolcri dei miei padri è in rovina e le sue porte sono consumate dal fuoco?". 4Il re mi disse: "Che cosa domandi?". Allora io pregai il Dio del cielo 5e poi risposi al re: "Se piace al re e se il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi, mandami in Giudea, nella città dove sono i sepolcri dei miei padri, perché io possa ricostruirla". 6Il re, che aveva la regina seduta al suo fianco, mi disse: "Quanto durerà il tuo viaggio? Quando ritornerai?". Dunque la cosa non spiaceva al re, che mi lasciava andare, e io gli indicai la data. 7Poi dissi al re: "Se piace al re, mi si diano le lettere per i governatori dell'Oltrefiume, perché mi lascino passare fino ad arrivare in Giudea, 8e una lettera per Asaf, guardiano del parco del re, perché mi dia il legname per munire di travi le porte della cittadella del tempio, per le mura della città e la casa dove andrò ad abitare". Il re mi diede le lettere, perché la mano benefica del mio Dio era su di me.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 136(137)

R. Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo.
Oppure:
R. Gerusalemme, città della mia gioia!

Lungo i fiumi di Babilonia, 
là sedevamo e piangevamo 
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra 
appendemmo le nostre cetre. R.

Perché là ci chiedevano parole di canto 
coloro che ci avevano deportato, 
allegre canzoni, i nostri oppressori: 
«Cantateci canti di Sion!». R.

Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme, 
si dimentichi di me la mia destra. R.

Mi si attacchi la lingua al palato 
se lascio cadere il tuo ricordo, 
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia. R.

Vangelo

Lc 9,57-62

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada". 58E Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". 59A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre". 60Gli replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio". 61Un altro disse: "Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia". 62Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio".

Commenti

Commento alla Liturgia

Adatto

MichaelDavide Semeraro

La domanda che il re pone a Neemia in partenza per la terra di Israele, dove cercherà di rimettere in piedi non solo il tempio e la città, ma anche tutto quello che essi simbolicamente rappresentano, in realtà riguarda ciascuno di noi:

«Quanto durerà il tuo viaggio?» (Nee 2,6).

Possiamo considerare che questo viaggio sia il nostro cammino di discepolato, che esige l’interezza del dono e dell’impegno della nostra vita in tutto il meglio che essa ha e che può dare. Il viaggio interiore del nostro diventare, giorno dopo giorno, discepoli del Signore Gesù, ci richiede di domandarci fino a che punto il nostro cammino sia «adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). Uno degli elementi di discernimento che il Vangelo sembra offrirci è proprio la capacità di vivere all’altezza del proprio desiderio. Non basta solo dire

«Ti seguirò dovunque tu vada» (Lc 9,57).

Bisogna anche essere all’altezza e nella disposizione di vivere nella forma del futuro, in un atteggiamento di propensione e sincera accoglienza di ciò che sta per venire, senza lasciare nessuno sguardo per il proprio passato, per quanto sia chiaramente imprescindibile per il nostro presente come può essere la propria famiglia di origine.

Il discepolo è chiamato a farsi in tutto simile al Maestro e per questo capace di guardare decisamente e fermamente avanti senza mai volgersi «indietro» (Lc 9,62). Non si può essere veramente discepoli senza volgersi risolutamente verso l’avvenire, che non significa oblio ma orientamento e consapevolezza. Il punto focale della parola del Signore Gesù, che riceviamo attraverso il Vangelo, non è l’invito a rifiutare i propri cari o a sentirsi esentati dai doveri più sacri dell’amore e delle pietà, ma è un invito a guardare con attenzione e con spietata onestà al nostro cuore per sapervi discernere il filo rosso dell’amore autentico e quello nero di un egoismo e narcisismo mascherati.

Diverso ed esemplare è l’atteggiamento di Neemia che, al cospetto del re, è capace di dichiarare con tutta umiltà e verità i suoi progetti e i suoi desideri, tanto da fare esperienza della «mano benefica» (Nee 2,8) di Dio che ne benedice le risoluzioni proprio perché, in prima persona, si è assunto tutta la responsabilità di ciò che ritiene buono e giusto. Di fatto la richiesta di Neemia comporta il lasciarsi alle spalle la sicurezza e l’agiatezza della vita di corte per riprendere il cammino verso la terra dei padri, per ricostruirvi il Tempio che diventa il simbolo della nostra vita, continuamente da ricostruire alla luce delle esigenze del Vangelo. Questa fedeltà esige sempre il coraggio di non fare troppi calcoli o troppe previsioni, ma di mettersi in cammino con decisione ferma e disponibilità al rischio perché:

«Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62).

Questa parola così forte del Signore Gesù non è una minaccia, e non è certo un modo per difendere se stesso, ma è il segno di un’attenzione a ogni discepolo, che viene preso sul serio in quello che è il suo desiderio ed è messo di fronte a tutte le conseguenze con serietà. Tre sfide che sono tre doni: la libertà dalle cose, dalle persone e, soprattutto, da se stessi.

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Il verbo akolouthèō (ἀκολουθέω) definisce l’identità cristiana nella sua essenzialità. Le tre occorrenze che compaiono in questi versetti descrivono uno dei due tipi di racconti di vocazione che compaiono nella tradizione sinottica, quello che sottolinea le condizioni esigenti della vita cristiana (l’altro è quello di una chiamata irresistibile da parte del Signore). L’intento teologico di Luca è quello di porre ogni lettore di fronte alla decisione della fede e della sequela nello stile del Vangelo, che implica perdere ogni sicurezza e protezione materiale e umana, a favore del rifugio in Dio. L’espressione en tē odō (ἐν τῇ ὁδῷ) può essere più propriamente tradotta qui con “in viaggio”, per indicare l’importanza decisiva che l’atto del camminare riveste per Luca. Esso esprime non solo l’itinerario storico di Gesù verso la sua passione, ma anche la via che conduce alla vita, l’esistenza cristiana nella sua pienezza, lo stesso annuncio cristiano. Il verbo akolouthèō (ἀκολουθέω) definisce l’identità cristiana nella sua essenzialità. Le tre occorrenze che compaiono in questi versetti descrivono uno dei due tipi di racconti di vocazione che compaiono nella tradizione sinottica, quello che sottolinea le condizioni esigenti della vita cristiana (l’altro è quello di una chiamata irresistibile da parte del Signore). L’intento teologico di Luca è quello di porre ogni lettore di fronte alla decisione della fede e della sequela nello stile del Vangelo, che implica perdere ogni sicurezza e protezione materiale e umana, a favore del rifugio in Dio. Il verbo akolouthèō (ἀκολουθέω) definisce l’identità cristiana nella sua essenzialità. Le tre occorrenze che compaiono in questi versetti descrivono uno dei due tipi di racconti di vocazione che compaiono nella tradizione sinottica, quello che sottolinea le condizioni esigenti della vita cristiana (l’altro è quello di una chiamata irresistibile da parte del Signore). L’intento teologico di Luca è quello di porre ogni lettore di fronte alla decisione della fede e della sequela nello stile del Vangelo, che implica perdere ogni sicurezza e protezione materiale e umana, a favore del rifugio in Dio.

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